"Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!".
Santa Teresa D'Avila
«Per me Santa Teresa D’Avila è stato amore a prima vista, un innamoramento, quando nel 1980, ero in tournée con il Piccolo Teatro, insieme a Giorgio Strehler, che è stato il mio maestro, ed eravamo a Madrid. Mentre visitavo i dintorni della città spagnola, sono arrivata ad Avila e sono rimasta folgorata dalle rocce rosse, dalla chiese e soprattutto, all’ingresso del borgo, dalla statua di marmo bianco di santa Teresa con un’espressione così forte e serena, che mi colpì molto, perché nell’iconografia cattolica al femminile non siamo abituati a trovare immagini di solarità e potenza. Rientrata in Italia, ho iniziato a studiare la sua storia».
La nota attrice teatrale e cinematografica Pamela Villoresi, così racconta il suo primo incontro con Santa Teresa D’Avila, la grande riformatrice del Carmelo, di cui ricorre il quinto centenario della nascita, Dopo molti anni di studio personale e tentativi di commissionare un testo teatrale sulla santa (chiesto tra gli altri a Mario Luzi e ad Alda Merini, che le donò una poesia su di lei), la Villoresi debutta ora con Teresa d’Avila, Un castello nel cuore di Michele Di Martino, con la regia di Maurizio Panici. Infatti l’attrice spiega i motivi per cui ha desiderato fortemente questo allestimento, voluto anche dai Carmelitani di Brescia: «ho ammirato come Santa Teresa, una donna nel 1500, avesse avuto la forza di determinare la sua vita, di riformare l’ordine del Carmelo, così da riportare la vita monastica alla povertà e alla meditazione. Per esempio ha impedito alle monache ricche di essere servite e venerate dalla altre monache, riportando l’ordine sia maschile sia femminile al rigore e alla povertà, viaggiando a dorso di mulo per raccogliere l’elemosina. Un punto nodale del suo percorso mistico, che ho voluto mettere in evidenza nello spettacolo, è la meditazione, in un rapporto intimo di contemplazione della Trinità. Ho voluto anche riunire brani del suo fitto epistolario in cui racconta come viene ostacolata per il suo piglio innovatore dai carmelitani non riformati, a causa dei quali subisce due processi dalla Santa Inquisizione, uscendone a testa alta. Emerge così una donna con un coraggio e una forza da leone, che non si arrende davanti ai soprusi, che fonda 17 conventi femminili e 15 maschili con l’aiuto di Giovanni della Croce, anche lui contrastato dai fratelli calzati».
Ha illuminato l’esperienza dei laici cristiani con la sua dottrina sull’orazione e sulla carità, via universale di santità; perché l’orazione, come la vita cristiana, non consiste “nel molto pensare, ma nel molto amare”, e “tutte le anime sono capaci di amare” (cf. S. Teresa, Castello Interiore, IV, 1, 7 et Fondazioni, 5, 2).
Avvicinarsi al mistero di Dio, a Gesù, “tenere presente . . . Gesù Cristo” (Ivi. 4, 8), riassume tutta la sua orazione. Questo è un incontro personale con colui che è l’unica via per andare al Padre (cf. S. Teresa, Castello Interiore, VI, 7, 6). Teresa reagì contro i libri che proponevano la contemplazione come un vago immergersi nella divinità (cf. S. Teresa, Vita, 22, 1), o come un “non pensare a nulla” (cf. S. Teresa, Castello Interiore, IV, 3, 6), scorgendo in questo il pericolo di rinchiudersi in se stessi, di allontanarsi da Gesù dal quale “ci vengono tutti i beni” (cf. S. Teresa, Vita, 22, 4). È per questo che grida: “abbandonare l’Umanità di Cristo . . . no, no, non lo posso sopportare!” (Ivi. 22, 1). Questo grido vale anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di orazione che non si ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni modo di orazione è valido in quanto si ispira a Cristo e conduce a Cristo, la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14, 6). È ben vero che il Cristo dell’orazione teresiana va oltre ogni immaginazione corporea e qualsiasi rappresentazione figurativa (cf. S. Teresa, Vita, 9, 6); è Cristo risorto, vivo e presente, che trascende i limiti di spazio e di tempo perché è insieme Dio e uomo (cf. S. Teresa, Vita, 27, 7-8). Ma allo stesso tempo è Gesù Cristo, figlio della Vergine, che ci sta vicino e ci aiuta (cf. Ivi. 27, 4).
L’uomo impara a stare in profondo silenzio, quando Cristo gli insegna interiormente “senza strepito di parole” (cf. S. Teresa, Cammino, 25, 2); si vuota di sé “guardando il Crocifisso” (cf. S. Teresa, Castello Interiore, VII, 4, 9). La contemplazione teresiana non è ricerca di nascoste virtualità soggettive per mezzo di raffinate tecniche di purificazione interiore, ma aprirsi in umiltà a Cristo e al suo Corpo Mistico che è la Chiesa.
Santa Teresa di Gesù ci dà un insegnamento molto chiaro sull’immenso valore dell’uomo: “Gesù mio! - esclama in una bella preghiera - come è grande l’amore che portate ai figli degli uomini, se il miglior servizio che vi si possa rendere è abbandonare voi per attendere ad essi e al loro profitto!
Brani di Giovanni Paolo II a Avila, 1 novembre 1982.
Quello che colpisce sempre di questa donna è che la sua contemplazione e mistica, sono la relazione con un Uomo concreto, Gesù, che è animale, razionale vivente, una relazione d'amore molto umana e ... molto divina!
Avvicinarsi al mistero di Dio, a Gesù, “tenere presente . . . Gesù Cristo” (Ivi. 4, 8), riassume tutta la sua orazione. Questo è un incontro personale con colui che è l’unica via per andare al Padre (cf. S. Teresa, Castello Interiore, VI, 7, 6). Teresa reagì contro i libri che proponevano la contemplazione come un vago immergersi nella divinità (cf. S. Teresa, Vita, 22, 1), o come un “non pensare a nulla” (cf. S. Teresa, Castello Interiore, IV, 3, 6), scorgendo in questo il pericolo di rinchiudersi in se stessi, di allontanarsi da Gesù dal quale “ci vengono tutti i beni” (cf. S. Teresa, Vita, 22, 4). È per questo che grida: “abbandonare l’Umanità di Cristo . . . no, no, non lo posso sopportare!” (Ivi. 22, 1). Questo grido vale anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di orazione che non si ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni modo di orazione è valido in quanto si ispira a Cristo e conduce a Cristo, la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14, 6). È ben vero che il Cristo dell’orazione teresiana va oltre ogni immaginazione corporea e qualsiasi rappresentazione figurativa (cf. S. Teresa, Vita, 9, 6); è Cristo risorto, vivo e presente, che trascende i limiti di spazio e di tempo perché è insieme Dio e uomo (cf. S. Teresa, Vita, 27, 7-8). Ma allo stesso tempo è Gesù Cristo, figlio della Vergine, che ci sta vicino e ci aiuta (cf. Ivi. 27, 4).
L’uomo impara a stare in profondo silenzio, quando Cristo gli insegna interiormente “senza strepito di parole” (cf. S. Teresa, Cammino, 25, 2); si vuota di sé “guardando il Crocifisso” (cf. S. Teresa, Castello Interiore, VII, 4, 9). La contemplazione teresiana non è ricerca di nascoste virtualità soggettive per mezzo di raffinate tecniche di purificazione interiore, ma aprirsi in umiltà a Cristo e al suo Corpo Mistico che è la Chiesa.
Santa Teresa di Gesù ci dà un insegnamento molto chiaro sull’immenso valore dell’uomo: “Gesù mio! - esclama in una bella preghiera - come è grande l’amore che portate ai figli degli uomini, se il miglior servizio che vi si possa rendere è abbandonare voi per attendere ad essi e al loro profitto!
Brani di Giovanni Paolo II a Avila, 1 novembre 1982.
Quello che colpisce sempre di questa donna è che la sua contemplazione e mistica, sono la relazione con un Uomo concreto, Gesù, che è animale, razionale vivente, una relazione d'amore molto umana e ... molto divina!
Un castello nel cuore
Un allestimento fortemente innovativo e pieno di suggestioni per questo spettacolo che ci vuol condurre alla scoperta di una delle figure femminili più significative della storia della Chiesa,Teresa d’Avila, nell’anno del quinto centenario della sua nascita: in scena una sorta di grande diamante di fibre ottiche di cinque metri ideato da Carlo Bernardini, parole e canti dal vivo, i disegni di Laura Riccioli che scorrono con l’elaborazione grafica visuale di Andrea Giansanti. Quello di Teresa è un viaggio affascinante anche per l’uomo contemporaneo, alla ricerca del “sacro” e dell’incontro con Dio nel quotidiano che lo circonda, spesso oscuro, ed illuminato solo da piccole epifanie fulminanti e rari momenti di grazia. Una ricerca ancora più sentita e attuale in un tempo “liquido” come il nostro, che sembra negare continuamente una visione di futuro, costringendoci ad un eterno presente, spesso svuotato, superficiale ed opprimente. Uno spettacolo che parla della bellezza e della Grazia, ma anche del lavoro e delle fatiche che portano alla consapevolezza di come il cuore umano sia abitato dal mistero stesso di Dio.
Vissuta nella Spagna del “siglo de oro”, Teresa de Haumada, poi nota con il nome religioso di Teresa di Gesù, è tra le più grandi sante di tutti i tempi: beatificata già nel 1614 e canonizzata nel 1622, nel 1970 fu proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, prima donna in assoluto ad essere insignita con questo titolo. Un riconoscimento dovuto al suo percorso spirituale, costellato da numerosi fenomeni mistici, provato da varie sofferenze e segnato da concretissima intraprendenza per la Riforma del Carmelo, con la fondazione di 13 nuovi monasteri e la riforma del ramo maschile poi affidata a Giovanni della Croce.
Ma perché scegliere Teresa d’Avila come soggetto di un progetto teatrale, che si rivolge anche ad un pubblico laico, e perché oggi? In realtà, la scoperta che questo lavoro consente è che la sua vicenda spirituale dimostra una sorprendente attualità. Non solo perché si tratta dell’avventura di una donna eccezionale in tempi difficili per le donne che ha saputo segnare con la marcata femminilità ogni attività in cui si è spesa. Ma perché da sempre il fascino e la forza della sua vita hanno suscitato un importante interesse nel pensiero e nella letteratura moderni.
Così negli scritti di Cervantes e di Lope de Vega, di Balzac e di Hugo, di Rilke, Garcia Lorca e Fogazzaro; nelle opere integrali a lei dedicate, come quelle dello Schneider, di West, Olaizola e Dobraczynnsky; nelle originali riletture di Baroja e Kristeva (quest’ultima, tra gli autori contemporanei più conosciuti, se pur con un taglio discutibile le ha dedicato un poderoso volume intitolato “Teresa, mon amour”). Nè potrebbero essere dimenticati gli echi, nella letteratura e nel pensiero moderni, dell’uso della simbolica del castello: intuizione ripresa da molti per la descrizione del mondo interiore, proprio o altrui, spesso per dirne il dramma di un difficile, se non impossibile, accesso all’“io”. Così accade, ad esempio, nel breve poema di Pablo Neruda, intitolato El castillo maldito; ma così anche nella clinica dei Sette piani di Dino Buzzati (speculari alle sette dimore di Teresa), un racconto che si presta ad analisi antropologiche e spirituali simili a quelle de Il castello di Kafka e del brano intitolato La stanza segreta che P. Valéry ha lasciato nei suoi Diari.
Ma Teresa d’Avila ha interessato in profondità anche il mondo dell’arte, come nell’opera di artisti del calibro di G.Bernini (con la sua celeberrima “Estasi”), P. P. Rubens, B. Guidobono, M. Unterberger, F. Torelli, Salvador Dalì e M. De Unamuno, il quale con fierezza tutta spagnola, non ha avuto timore di affermare: «Altri popoli ci hanno lasciato soprattutto istituzioni, libri: noi abbiamo lasciato anime. Santa Teresa vale per qualsiasi istituzione, per qualsiasi “Critica della ragion pura”».
L’aspetto più affascinante della figura di Teresa e del suo carisma resta tuttavia legato alla possibilità di raccontarne l’esperienza come storia di un grande amore. Più precisamente, la storia del percorso necessario ad ogni uomo per conoscersi davvero e scoprirsi capace d’amare. Il castello interiore, nel quale è necessario entrare e restare, è infatti il cuore dell’uomo universale che, lungi dall’essere vuoto, si scopre abitato dal Dio vivente: ciò che io sono nel mio centro più intimo e profondo è, quindi, una relazione. Una provocazione decisiva per l’uomo di sempre, ma in modo particolare per l’uomo contemporaneo che - sedotto da “nuovi” orizzonti antropologici ed economici - sembra aver smarrito il suo vero centro: sino a ridurre il cuore alla misura individualistica e chiusa delle proprie paure, come quelle del castello incomunicabile e inaccessibile dell’ “io” moderno, magistralmente descritto da F. Kafka.
Quanti sanno che, già al suo tempo, Teresa proponeva alle sue monache danze e teatro?
Vissuta nella Spagna del “siglo de oro”, Teresa de Haumada, poi nota con il nome religioso di Teresa di Gesù, è tra le più grandi sante di tutti i tempi: beatificata già nel 1614 e canonizzata nel 1622, nel 1970 fu proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, prima donna in assoluto ad essere insignita con questo titolo. Un riconoscimento dovuto al suo percorso spirituale, costellato da numerosi fenomeni mistici, provato da varie sofferenze e segnato da concretissima intraprendenza per la Riforma del Carmelo, con la fondazione di 13 nuovi monasteri e la riforma del ramo maschile poi affidata a Giovanni della Croce.
Ma perché scegliere Teresa d’Avila come soggetto di un progetto teatrale, che si rivolge anche ad un pubblico laico, e perché oggi? In realtà, la scoperta che questo lavoro consente è che la sua vicenda spirituale dimostra una sorprendente attualità. Non solo perché si tratta dell’avventura di una donna eccezionale in tempi difficili per le donne che ha saputo segnare con la marcata femminilità ogni attività in cui si è spesa. Ma perché da sempre il fascino e la forza della sua vita hanno suscitato un importante interesse nel pensiero e nella letteratura moderni.
Così negli scritti di Cervantes e di Lope de Vega, di Balzac e di Hugo, di Rilke, Garcia Lorca e Fogazzaro; nelle opere integrali a lei dedicate, come quelle dello Schneider, di West, Olaizola e Dobraczynnsky; nelle originali riletture di Baroja e Kristeva (quest’ultima, tra gli autori contemporanei più conosciuti, se pur con un taglio discutibile le ha dedicato un poderoso volume intitolato “Teresa, mon amour”). Nè potrebbero essere dimenticati gli echi, nella letteratura e nel pensiero moderni, dell’uso della simbolica del castello: intuizione ripresa da molti per la descrizione del mondo interiore, proprio o altrui, spesso per dirne il dramma di un difficile, se non impossibile, accesso all’“io”. Così accade, ad esempio, nel breve poema di Pablo Neruda, intitolato El castillo maldito; ma così anche nella clinica dei Sette piani di Dino Buzzati (speculari alle sette dimore di Teresa), un racconto che si presta ad analisi antropologiche e spirituali simili a quelle de Il castello di Kafka e del brano intitolato La stanza segreta che P. Valéry ha lasciato nei suoi Diari.
Ma Teresa d’Avila ha interessato in profondità anche il mondo dell’arte, come nell’opera di artisti del calibro di G.Bernini (con la sua celeberrima “Estasi”), P. P. Rubens, B. Guidobono, M. Unterberger, F. Torelli, Salvador Dalì e M. De Unamuno, il quale con fierezza tutta spagnola, non ha avuto timore di affermare: «Altri popoli ci hanno lasciato soprattutto istituzioni, libri: noi abbiamo lasciato anime. Santa Teresa vale per qualsiasi istituzione, per qualsiasi “Critica della ragion pura”».
L’aspetto più affascinante della figura di Teresa e del suo carisma resta tuttavia legato alla possibilità di raccontarne l’esperienza come storia di un grande amore. Più precisamente, la storia del percorso necessario ad ogni uomo per conoscersi davvero e scoprirsi capace d’amare. Il castello interiore, nel quale è necessario entrare e restare, è infatti il cuore dell’uomo universale che, lungi dall’essere vuoto, si scopre abitato dal Dio vivente: ciò che io sono nel mio centro più intimo e profondo è, quindi, una relazione. Una provocazione decisiva per l’uomo di sempre, ma in modo particolare per l’uomo contemporaneo che - sedotto da “nuovi” orizzonti antropologici ed economici - sembra aver smarrito il suo vero centro: sino a ridurre il cuore alla misura individualistica e chiusa delle proprie paure, come quelle del castello incomunicabile e inaccessibile dell’ “io” moderno, magistralmente descritto da F. Kafka.
Quanti sanno che, già al suo tempo, Teresa proponeva alle sue monache danze e teatro?
L’Estasi di Santa Teresa D’avila, il capolavoro seicentesco del Bernini realizzato in marmo e bronzo dorato, è un’opera affascinante e intensa da lasciare senza fiato lo spettatore che si trova davanti al piacere mistico della Santa.
Lo scultore rappresenta l’ intima comunione della Santa con Dio. La stessa Santa descrive quel momento di voluttuoso rapimento ne la sua Vita nel 1565 con queste parole: "In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cos’ soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento".
Lo scultore rappresenta l’ intima comunione della Santa con Dio. La stessa Santa descrive quel momento di voluttuoso rapimento ne la sua Vita nel 1565 con queste parole: "In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio cos’ soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento".
Dolore o piacere? Estasi o tormento?
L’opera nel suo splendore è inquietante e forte. L’intensità dell’immagine e l’intimità espressa dall’artista ne fanno l’emblema dell’orgasmo eterno.
La Transverbazione di Santa Teresa D’Avila è visibile nella cappella Cornaro, nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma.
L’opera nel suo splendore è inquietante e forte. L’intensità dell’immagine e l’intimità espressa dall’artista ne fanno l’emblema dell’orgasmo eterno.
La Transverbazione di Santa Teresa D’Avila è visibile nella cappella Cornaro, nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma.
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