Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

sabato 20 febbraio 2016

Bellezza: quando Dio «seduce»

Alessandro D'Avenia


 
Ci innamoriamo e amiamo solo per la bellezza. Nessuno di noi ha desiderato avvicinarsi e conoscere qualcosa o qualcuno senza esserne prima sedotto. Questo principio di attrazione ha il suo fondamento ultimo qui: «Nessuno viene a me se non lo attrae il Padre». Tutte le volte che nell’ambito naturale (la grazia delle cose) o soprannaturale (la Grazia, dono di Dio a partecipare alla sua vita) la bellezza ci mette in movimento, sperimentiamo l’attrazione dell’Amore che ci trasforma, cioè vuole darci la sua forma, la sua essenza, per farsi tutto in tutti, pur mantenendo ciascuno la sua irripetibile identità.


Quando l’azione beatificante (capace di rendere felici), che attira cose e persone verso il loro pieno e duraturo compimento di bellezza, trova un ostacolo, questa gloria non si irrigidisce ma diventa anzi resiliente e prende il nome di misericordia e, lasciandosi ferire, diventa limite imposto al male della e nella storia. Quando l’ostacolo del male si erge contro la gloria di Dio, trionfo di bellezza a cui ogni cosa e persona è chiamata, l’azione «attraente» di Dio si piega in forma di misericordia (Cristo si china sulla donna che tutti volevano lapidare) sul cuore duro e cerca di sedurlo, a volte con forza a volte con delicatezza, verso un bene più grande e misterioso, nel tempo e nello spazio che si renderanno necessari.
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La misericordia è una forma unica e ulteriore di bellezza, perché è la bellezza resa compatibile con il male, con la ferita, con la resistenza (forse solo Michelangelo è riuscito a scolpirla, quasi per errore, nella Pietà Rondanini). Si tratta di una bellezza che mostra le ferite (come accade con l’incredulo Tommaso) come credenziali di un’estetica nuova, in cui la vita ha attraversato e trasformato la morte, ma non per via immaginaria, perché ne porta i segni, producendo una meraviglia inedita rispetto a secoli di storia in cui il bello era soltanto armonia delle parti e il sangue doveva rimanere fuori dalla scena («osceno» appunto). Per ricordarselo, basterebbe fissare per qualche minuto la Pietà di Avignone che Enguerrand Quarton dipinse a metà del 1400: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti (o tutto) a me», la massima attrazione, fascinazione, bellezza, si dispiega proprio al massimo della sconfitta, la massima seduzione provocata dalla nostra più pervicace resistenza.






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