Gender, pubblicato “Maschio
e femmina li creò”
È stato appena pubblicato e
reso noto, quest’oggi, il documento “Maschio e femmina li creò”, della
Congregazione per l’Educazione Cattolica (CEC), «per una via di dialogo sulla
questione del gender nell’educazione». Trattandosi di un testo
dedicato, fra le altre cose, alla cura parentale, le firme del Prefetto (il
cardinale Giuseppe Versaldi) e del Segretario (l’arcivescovo Angelo Vincenzo
Zani) sono state apposte al documento nella Festa della Presentazione del
Signore al Tempio, ossia il 2 febbraio 2019.
Si tratta di poco più di
cinquantamila battute, parliamo quindi di un testo relativamente snello (anche
le note non arrivano alla settantina) che intende affrontare «una vera e propria emergenza educativa, in particolare per quanto riguarda i temi
dell’affettività e della sessualità» (1):
Il disorientamento
antropologico che caratterizza diffusamente il clima culturale del nostro tempo
ha certamente contribuito a destrutturare la famiglia con la tendenza a
cancellare le differenze tra uomo e donna, considerate come semplici effetti di
un condizionamento storico-culturale.
Lo spazio di un dialogo
Il tono dell’Introduzione,
come si vede, è netto al punto da non lasciar intravedere lo spazio del “dialogo”
di cui nel sottotitolo: le tre prime citazioni annotate in calce sono da un Discorso papale ai
membri del corpo diplomatico del 2011, dunque di Benedetto XVI;
dall’esortazione apostolica postsinodale Amoris
Lætitia del 2016, di Papa Francesco, e di svariati punti della
“teologia del corpo” di Giovanni Paolo II (Familiaris
Consortio, Gratissimam
sane e l’udienza
dell’8 aprile 1981). Senza tema di spoilerare troppo, mi sento di dire che
il fine del documento sembra essere precisamente quello di aprire (e con
ciò descrivere, ma anche in certa misura circoscrivere) uno spazio di
dialogo sul gender. Perché farlo, come farlo e come
non farlo sono tre fra i titoli salienti sotto cui può essere rubricata la
materia del documento. Quale che sia la loro pars, i rapsodici
compulsatori del Magistero pontificio – specie quelli che dragano i testi
alla ricerca delle parole-chiave di loro interesse – resteranno facilmente
delusi dal contenuto: trenta pagine sul gender e neppure una volta fa
capolino non dico la parola “gay”, ma neppure la versione sdoganata
“omosessuale” (e affini). Nessuno s’illude che basti una simile inezia per
convincere gli uni e gli altri che il documento non introduce alcuna eversione
nella dottrina cattolica – visceralmente paventata dai primi e bramata dai
secondi –: ognuno di loro canterà la canzone che aveva già deciso di cantare,
tentando di arrangiarla sul motivo di “Maschio e femmina li creò”. Questo
documento è scritto per gli altri, cristiani o no che siano: per gli uomini di
mente e cuore aperti.
La Chiesa in difesa del
corpo e della carne
Lo scritto è diviso in tre
parti rispettivamente assommate sotto i tre titolini di “ascoltare”,
“ragionare” e “proporre”, precedute da una “introduzione” e seguite da una
“conclusione”. Difficile pensare una dispositio più tradizionale e
(oserei dire) classica.
Fin dall’Introduzione il
lettore resta colpito dall’insistenza dei Curiali sulla sessualità come
“componente fondamentale della personalità”, e propone una precisa
dichiarazione di intenti:
La Congregazione per
l’Educazione Cattolica, nell’ambito delle sue competenze, intende ora offrire
alcune riflessioni che possano orientare e sostenere quanti sono impegnati
nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare con metodo le questioni
oggi più dibattute circa la sessualità umana, alla luce della vocazione
all’amore a cui ogni persona è chiamata.
Scartando insieme sia quanti
negano che esista una “ideologia del gender” sia quanti mettono sotto alla sola
parola “gender” ogni possibile «errore della mente umana», quasi come fa col
classico tappeto chi svogliatamente spazzi il pavimento, la CEC afferma
nettamente l’esistenza della suddetta ideologia e la distingue da quanto con
essa sta nel più vasto orizzonte dei “gender studies”:
Nell’intraprendere la via
del dialogo sulla questione del gender nell’educazione è necessario
tener presente la differenza tra l’ideologia del gender e le diverse
ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane. Mentre
l’ideologia pretende, come riscontra Papa Francesco, «di rispondere a certe
aspirazioni a volte comprensibili», ma cerca «di imporsi come un pensiero unico
che determini anche l’educazione dei bambini» e quindi preclude
l’incontro, non mancano delle ricerche sul gender che cercano di
approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la
differenza sessuale tra uomo e donna. È in relazione con queste ricerche che è
possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta (6).
Il capitolo “ascoltare” è
canonicamente diviso, anch’esso, in tre paragrafi, rispettivamente intitolati
“breve storia”, “punti d’incontro” e “criticità”: basta scorrerli per capire
che in essi si sviluppa prima una panoramica diacronica del fenomeno (sul piano
accademico e del costume), quindi una valorizzazione di alcuni obiettivi comuni
con la prospettiva cristiana, infine un’onesta presa di distanza da
proposizioni inaccettabili.
Interessante nel primo
paragrafo la disamina analitica del presupposto antropologico dell’ideologia
del gender:
Questi approcci convergono
nel negare l’esistenza di un dono originario che ci precede ed è costitutivo
della nostra identità personale, formando la base necessaria di ogni nostro
agire. Nelle relazioni interpersonali, ciò che conta sarebbe soltanto l’affetto
tra individui, a prescindere dalla differenza sessuale e dalla procreazione
ritenute irrilevanti nella costruzione della famiglia. Si passa da un modello
istituzionale di famiglia – avente struttura e finalità non dipendenti dalle
preferenze soggettive individuali dei coniugi – ad una visione puramente
contrattualistica e volontaristica (9).
L’affermazione di fondo è
che il rifiuto della datità preesistente al darsi di ogni individualità
comporterebbe una sorta di solipsismo pratico, i cui sostenitori si trovano a
diventare vittime di un sistema «che
lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». I punti
d’incontro sono invece ravvisati negli stimoli a un riconoscimento
(storico e fattivo, storico ma fattivo) dell’uguale dignità
di tutte le persone e nel ripudio più netto di «ogni ingiusta discriminazione»:
Un punto di incontro è
l’educazione dei bambini e dei giovani a rispettare ogni persona nella
sua peculiare e differente condizione, affinché nessuno, a causa delle proprie
condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.),
possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni
ingiuste. Si tratta di un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile,
in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto.
Un altro punto di crescita
nella comprensione antropologica sono i valori della femminilità che
sono stati evidenziati nella riflessione sul gender. Nella donna, ad
esempio, la « capacità dell’altro » favorisce una lettura più realistica e
matura delle situazioni contingenti, sviluppando «il senso e il rispetto del
concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli
individui e della società». Si tratta di un apporto che arricchisce le
relazioni umane e i valori dello spirito « a partire dai rapporti quotidiani
tra le persone». Per questo, la società è in larga parte debitrice alle donne
che sono «impegnate nei più diversi settori dell’attività educativa, ben oltre
la famiglia: asili, scuole, università, istituti di assistenza, parrocchie,
associazioni e movimenti» (16-17).
Fra le criticità evidenziate
nel documento risalta in particolare l’inattesa (ma neanche troppo) accusa
contro il dualismo antropologico di stampo moderno (più cartesiano
che platonico, per capirci) che caratterizza certe prospettive:
I presupposti delle suddette
teorie sono riconducibili a un dualismo antropologico: alla separazione
tra corpo ridotto a materia inerte e volontà che diviene assoluta, manipolando
il corpo a suo piacimento. Questo fisicismo e volontarismo danno luogo al
relativismo, ove tutto è equivalente e indifferenziato, senza ordine e senza
finalità. Tutte queste teorizzazioni, dalle moderate alle più radicali,
ritengono che il gender (genere) finisce con l’essere più importante
del sex (sesso). Ciò determina, in primo luogo, una rivoluzione
culturale e ideologica nell’orizzonte relativista, e in secondo luogo una
rivoluzione giuridica, perché queste istanze promuovono specifici diritti
individuali e sociali.
Ecco donde sgorga la genuina
confusione sui diritti e sui doveri che attanaglia le nostre società e affonda
i denti nella crisi educativa di cui si diceva in apertura: si tratta veramente
di confusione e tale confusione è veramente genuina, nel senso
che non di rado quanti vi sono immersi difettano degli strumenti che
permetterebbero loro di riconoscere le fallacie delle prospettive adottate e di
emanciparsene. Per questo appunto è necessario dialogare, certo non – come
qualcuno teme – per introdurre nell’Educazione Cattolica «progetti educativi e
orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità
affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra
maschio e femmina» (22).
La Scienza è dello
stesso gender della Chiesa
Il capitolo “ragionare”
consta di un unico paragrafo – un po’ tautologicamente chiamato “argomenti
razionali” – ed è il più breve dei tre perché, a dispetto della
scolastica dispositio già illustrata i suoi contenuti appaiono sparsi
in tutto il testo. Trovano qui posto dunque i riferimenti ai dati di scienze
biologiche e mediche, secondo cui il “dimorfismo sessuale” (ovvero la
differenza sessuale tra uomini e donne) è comprovato dalle scienze, quali, ad
esempio, la genetica, l’endocrinologia e la neurologia. Da un punto di vista
genetico, le cellule dell’uomo (che contengono i cromosomi XY) sono
differenti da quelle della donna (il cui equivalente è XX) sin dal
concepimento. Del resto, nel caso dell’indeterminatezza sessuale è la medicina
che interviene per una terapia. In queste situazioni specifiche, non sono i
genitori né tantomeno la società che possono fare una scelta arbitraria, ma è
la scienza medica che interviene con finalità terapeutica, ossia
operando nel modo meno invasivo sulla base di parametri obiettivi al fine di
esplicitarne la costitutiva identità.
L’unica “indeterminatezza
sessuale” a cui si fa riferimento è quella – statisticamente rarissima” –
relativa al sesso fenotipico, ossia il cosiddetto “ermafroditismo”. Infatti:
Il processo di
identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un “genere
neutro” o “terzo genere”. In questo modo viene oscurata la sessualità come
qualificazione strutturante dell’identità maschile e femminile. Il tentativo di
superare la differenza costitutiva di maschio e femmina, come avviene
nell’intersessualità o nel transgender, porta ad un’ambiguità maschile e
femminile, che presuppone in maniera contraddittoria quella differenza sessuale
che si intende negare o superare (25).
Agli argomenti medici la CEC
aggiunge i noti rilievi filosofici:
La formazione
dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto immediato con
il “tu” diverso da me riconosco l’essenza del mio “io”. La differenza è la
condizione della cognizione in generale, e della conoscenza dell’identità.
Nella famiglia il confronto con la madre e il padre facilita il bambino
nell’elaborazione della propria identità/differenza sessuale. Le teorie
psicoanalitiche mostrano il valore tripolare del rapporto
genitori/figlio, asserendo che l’identità sessuale emerge pienamente soltanto
nel confronto sinergico della differenziazione sessuale.
Verso un dialogo responsabile
Se il secondo capitolo
constava di un unico paragrafo, i due “mancanti” sembrano essere stati
riversati nel terzo, giacché il capitolo sul “proporre” individua un primo
paragrafo di succinta ricapitolazione dell’“antropologia cristiana” e un ultimo
dedicato a “la formazione dei formatori”: tra il primo e il quinto se ne
collocano due sulle principali agenzie educative della società civile (“la
famiglia” e “la scuola”) e un terzo dedicato a “la società” stessa.
Il dialogo va improntato
alla chiarezza:
E il primo passo di questo
chiarimento antropologico consiste nel riconoscere che «anche l’uomo possiede
una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere». È
questo il fulcro di quella ecologia dell’uomo che muove dal «riconoscimento
della peculiare dignità dell’essere umano» e dalla necessaria relazione della
sua vita «con la legge morale inscritta nella sua propria natura» (30).
Poiché inoltre
l’antropologia cristiana vede integrate «la dimensione verticale della
comunione con Dio e la dimensione orizzontale della comunione interpersonale, a
cui l’uomo e la donna sono chiamati» (33), diventa
[…] necessario ribadire la
radice metafisica della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due
modalità in cui si esprime e realizza la realtà ontologica della persona umana.
Questa è la risposta antropologica alla negazione della dualità maschio e
femmina da cui si genera la famiglia (34).
La famiglia, appunto, nella
quale […] reciprocità e
complementarità tra uomo e donna si realizzano pienamente, precede lo stesso
ordinamento socio-politico dello Stato, la cui libera attività legiferante deve
tenerne conto e darne il giusto riconoscimento (36).
Il documento ribadisce “due
diritti fondamentali” inerenti alla cellula della società:
«Il primo è il diritto della
famiglia a essere riconosciuta come lo spazio pedagogico primario per la
formazione del bambino» (37).
Il secondo «è quello del
bambino “a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare
un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva […]”» (38).
Alla scuola è richiesto un
atteggiamento costruttivo e sussidiario, e questo specialmente alla scuola
cattolica, la quale […] deve farsi comunità
educante nella quale la persona esprime se stessa e cresce umanamente in un
processo di relazione dialogica, interagendo in modo costruttivo, esercitando
la tolleranza, comprendendo i diversi punti di vista, creando fiducia in un
ambiente di autentica concordia. Si instaura, così, la vera «comunità educativa,
spazio di convivialità delle differenze. La scuola-comunità è luogo di
incontro, promuove la partecipazione, dialoga con la famiglia, prima comunità
di appartenenza degli alunni che la frequentano, rispettandone la cultura e
ponendosi in profondo ascolto dei bisogni che incontra e delle attese di cui è
destinataria ».46 In tal modo le ragazze e i ragazzi sono accompagnati da
una comunità che «li stimola a superare l’individualismo e a scoprire, alla
luce della fede, che sono chiamati a vivere in maniera responsabile, una
specifica vocazione in solidarietà con gli altri uomini» (40).
Il paragrafo dedicato allo
«sguardo d’insieme sulla società attuale» si apre con una constatazione di
inattesa e salutare durezza:
La trasformazione delle
relazioni interpersonali e sociali «ha spesso sventolato la “bandiera
della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a
innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più
evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento
di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in
misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a
soffrire di più, in questa crisi» (43).
In tale panorama, al cui
centro si staglia imponente la già ricordata emergenza educativa, la CEC
riconosce urgente promuovere un’alleanza sostanziale e non burocratica, che
armonizzi, nel progetto condiviso di « una positiva e prudente educazione
sessuale »,53 la primaria responsabilità dei genitori con il compito degli
insegnanti. Si devono creare le condizioni per un incontro costruttivo tra i vari
soggetti al fine di istaurare un clima di trasparenza, interagendo e tenendosi
costantemente informati sulle attività per facilitare il coinvolgimento ed
evitare inutili tensioni che potrebbero sorgere a causa di incomprensioni per
mancanza di chiarezza, informazione e competenza (45).
L’educazione è un incontro
fra almeno due libertà, certo, ma questo ne fa il luogo del dialogo,
appunto, non dell’arbitrio e dell’invenzione ideologica:
La responsabilità dei
dirigenti, del corpo docente e del personale scolastico è quella di garantire
un servizio qualificato coerente con i principi cristiani che costituiscono
l’identità del progetto educativo, nonché di interpretare le sfide
contemporanee attraverso una testimonianza quotidiana fatta di comprensione,
obiettività e prudenza. È, infatti, comunemente condiviso che «l’uomo
contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i
maestri, lo fa perché sono dei testimoni». L’autorevolezza
dell’educatore si configura, quindi, come la confluenza concreta «di una
formazione generale, fondata su una concezione positiva e costruttiva della
vita e sullo sforzo costante per realizzarla. Una tale formazione oltrepassa la
pur necessaria formazione professionale e investe gli aspetti più intimi della
personalità, incluso quello spirituale e religioso» (48).
Perché un simile documento
Leggendo il testo della CEC,
insomma, non pare di poter scorgere alcuna “novità” contenutistica rispetto al
portato costante del Magistero ecclesiastico (pontificio e non, recente e non):
si arriva dunque alla “conclusione” chiedendosi la ragione che ha reso
opportuno (ovvero necessario?) un tanto autorevole pronunciamento. Penso che la
risposta arrivi proprio in conclusione, quando dopo tutta l’utile e compendiosa
ricapitolazione si chiarisce in cosa molto spesso difetti il dialogo “tra
Chiesa e mondo” (per dirla con formule in voga qualche decennio fa):
In conclusione, la via
del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più
efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle
incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più
aperto e umano. Al contrario, l’approccio ideologizzato alle delicate questioni
del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare
le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una
dall’altra (52).
Si direbbe un modo per
ripetere l’ormai noto commento: «Siamo d’accordo sulla sostanza, meno sul
metodo». E trattando di educazione il metodo è qualcosa di piuttosto
sostanziale. Il gender (almeno nelle sue declinazioni più ideologiche
e più acri) è “un errore della mente umana”, come il Santo Padre ha più volte
ripetuto: proprio per questo i discepoli di Gesù non possono avere la pretesa
di chiamarsi fuori dalle sfide di empatia e di compassione cui la sollecitano
quegli innumerevoli viatores che sono gli uomini del nostro tempo.
Come noi, del resto.
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