Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

venerdì 4 marzo 2016

Come un prodigio - Rimettere ordine nel cuore dell'uomo, come un'ecologia del cuore: la creatura più eccelsa è l'uomo, poi viene l'universo intero

Come un prodigio

Andrea Mardegan


Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno. Quanto profondi per me i tuoi pensieri quanto grande il loro numero, o Dio. 
Sl, 139

                                                                                                                            
E' una perla nascosta di spiritualità, un inno di giubilo del Papa. Al punto 84 della Evangelium vitae leggiamo: «Anche noi, come il Salmista, nella preghiera quotidiana, individuale e comunitaria, lodiamo e benediciamo Dio nostro Padre, che ci ha tessuti nel seno materno e ci ha visti e amati quando ancora eravamo informi (cfr Sal 139 [138], 13.15-16), ed esclamiamo con gioia incontenibile: "Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo" (Sal 139    [138], 14)». «Anche noi», dice il Papa, e così coinvolge i lettori, che sono portati a domandarsi: a chi pensa il Papa quando scrive «noi»? Forse pensa a tutta la Chiesa. Ma il Salmo 139 non è parte fissa, quotidiana, della liturgia eucaristica, né della liturgia delle Ore, né della pietà popolare. Pensa forse ai lettori della Evangelium vitae? Se fosse una esortazione potremmo rispondere di sì, ma si tratta di una frase dal tono affermativo, circostanziato, al tempo presente. Resta la possibilità che ci stia svelando una parte del segreto della sua preghiera. Nascosto dal plurale di modestia, il Papa ci rivela una tonalità forte del suo dialogo con Dio, personale e comunitario.
Nella preghiera comunitaria, infatti, è sempre il Papa che presiede e orienta a Dio le intenzioni dì tutta la Chiesa. Quando è solo a tu per tu con Dio o quando è attorniato da concelebranti e fedeli di ogni dove, Giovanni Paolo II esclama con gioia incontenibile: «Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio». Già nel suo libro Varcare la soglia della speranza, sollecitato dalle domande, aveva accettato di aprire il cuore, con delicato pudore, sul suo dialogo con Dio. La corrispondenza fra quelle pagine e la frase di EV è notevole. Il Papa prega «come lo Spirito gli permette di pregare, con gemiti inesprimibili». Entra nel ritmo delle suppliche dello Spirito stesso, si inserisce nel profondo grido di Cristo redentore. Prega innanzitutto con «la gioia della creazione»: «Dio Creatore sembra dire all'intero creato: "E' bene che tu ci sia"». Poi prega con la gioia della salvezza, della redenzione, e per la sua preghiera «i Salmi sono insostituibili»[1].

La comunione dei santi

Le confidenze del Papa sulla sua preghiera ci spingono a fare un passo avanti: in quel «noi» possiamo leggere un accenno alla comunione dei santi. Quella preghiera quotidiana di cui il Papa scrive, è la sua preghiera unita alla preghiera di Cristo, della Vergine e dei santi, di quelle persone che consapevolmente pregano così, e di tanti altri che ogni giorno uniscono la propria preghiera e la propria sofferenza a quelle del Papa. In quel «noi» possiamo entrare anche noi. Rileggiamo dunque la terza strofa del Salmo 139:
Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno. Quanto profondi per me i tuoi pensieri quanto grande il loro numero, o Dio. Se vi aggiungiamo anche gli ultimi versetti della quarta strofa, completiamo la tematica della preghiera sulla vita del Salmo 139:
Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita.«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2, 5). Così ci esorta san Paolo nell'introdurre l'inno cristologico della lettera ai Filippesi. Sono i sentimenti di Cristo, che assume «la condizione di servo» (Fil 2, 7), che appare «in forma umana» (Fil 2, 7). Se teniamo presente che «pregati e attuati in pienezza di Cristo, i Salmi restano essenziali per la preghiera della sua Chiesa», e che in essi «la parola di Dio diventa preghiera dell'uomo», e ancora che in Cristo «i Salmi non cessano di insegnarci a pregare»[2]; se ricordiamo che i Padri con frequenza davano un'interpretazione cristologica del Salmo 139, nel quale vedevano il canto della incarnazione di Cristo o della sua glorificazione[3], avremo un riferimento spirituale adeguato per la meditazione e la recitazione di queste parole. I sentimenti del Verbo che si incarna sono adombrati nelle parole del Salmo che in lui acquistano pienezza: per noi una possibilità di conoscerli e assimilarli. Quale ampiezza di significato, quale respiro dia il Papa a questa preghiera è facile dedurlo dalle sue parole: «Sì, questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria»[4] . Di più , l'uomo e la sua vita non ci appaiono solo come uno dei prodigi più alti della creazione: all'uomo Dio ha conferito una dignità quasi divina (cfr Sal 8, 6-7). «In ogni bimbo che nasce e in ogni uomo che vive e che muore noi riconosciamo l'immagine della gloria di Dio: questa gloria noi celebriamo in ogni uomo, segno del Dio vivente, icona di Gesù Cristo» (EV n. 84). L'uomo è un prodigio del Dio vivente. «Il salmista giocando sui due termini affini plh e pl', "mirabile" e "meraviglioso" presenta l'uomo come il capolavoro di Dio, il suo atto più alto»[5]. A ben vedere nel Salmo 139 troviamo descritto tutto il mistero della vita nella sua dimensione prodigiosa. Sei tu che hai creato le mie viscere. La creazione del corpo. Tu mi conosci fino in fondo. La creazione dell'anima. Venivo formato nel segreto. Il prodigio dell'inizio della vita. I miei giorni erano fissati e tutto era scritto nel tuo libro. Il prodigio dello svilupparsi della vita dal suo inizio al suo termine naturale. Provami e conosci i miei pensieri. Il prodigio della libertà. Guidami sulla via della vita. Il prodigio della vita eterna in Dio. E' comprensibile che il Papa provi la sua gioia incontenibile nel contemplare il prodigio della vita in tutta la sua profondità. Una gioia che molti altri possono provare se seguono la strada di contemplazione suggerita dal Papa.

La preghiera, medicina di vita

Se cominciamo a intravedere questa possibilità anche per noi, è però facile che presto un'obiezione sorga: come fare a diffondere nel mondo questa visione? E non c'è il rischio che la gioia della preghiera sia un rifugio facile che ci colloca lontano dalla battaglia per la cultura della vita? Il libro di Tobia ci suggerisce una risposta. Una duplice cultura della morte vi è descritta. La prima ha come vittime gli israeliti deportati in Assiria; è causata dall'autorità dispotica e crudele, e ha come segno la proibizione di dare sepoltura agli uccisi. Il solo Tobia, uomo giusto e pio, si oppone silenziosamente all'ordine iniquo e di notte seppellisce i cadaveri, rischiando di persona. Paga con la fuga, la perdita di tutti gli averi, e più avanti anche con la cecità il suo coraggio e la sua rettitudine. La seconda è direttamente provocata dall'invidia demoniaca e ha come vittima Sara e il suo matrimonio. Asmodeo, cattivo, demone, le ha ucciso sette mariti, il giorno stesso del matrimonio, prima che potessero unirsi a lei. La tenacia di Tobia e di Sara nell'opporsi alla logica della cultura di morte che incombe viene fiaccata dall'insulto delle persone vicine. Non vogliono abbandonare l'onestà, ma sono tentati di abbandonare la lotta e pregano Dio che li faccia morire. Ma la preghiera davanti a Dio non può che essere fonte di vita. Dio invia loro Raffaele, l'arcangelo, medicina di Dio, per guarire Tobia e portare Sara al matrimonio desiderato. «Fatti coraggio», dice Raffaele a Tobia, «Dio non tarderà a guarirti, coraggio» (Tb 5,10). La preghiera è medicina della vita. Gesù ne è la rivelazione più alta e compiuta: pregato, guarisce; toccato, guarisce; ferito dal dolore della vedova di Nain, restituisce la vita al figlio. Potrà la preghiera di Cristo, di Maria e dei santi, del Papa e di «noi» che quotidianamente esclamiamo con gioia incontenibile: «Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio», guarire dalla malattia di morte la società di oggi e le famiglie? «L'orazione è una comunione d'amore portatrice di Vita per la moltitudine»[6]. La preghiera è comunione con Dio e in Dio con i santi. Perciò è la fonte principale di riunione e di pace. Il peccato, lacerazione tra l 'uomo e Dio, ha introdotto la morte nel mondo. Così la cultura della morte è il risultato di innumerevoli ferite che lacerano in sé stesso l'uomo contemporaneo. L'oblio di Dio fa dell'uomo un essere sradicato e disorientato, ferito nella sua origine e nel suo fine. La divaricazione tra la ragione e la fede, conoscenza naturale e soprannaturale, lacera l'intelletto. Una libertà sganciata dalla verità, e non guidata dall'amore, ferisce l'uomo nella felicità incompiuta. Il cuore dimentico della ragione ferisce l'uomo con le emozioni impazzite. Il culto del corpo nella fuga dallo spirito frattura l'uomo nei suoi princìpi costitutivi. Lo scoordinamento tra soggetto e natura oscilla tra l'unicità che dimentica la socialità e la confusione nella massa con la rinuncia a essere persona. Si potrebbe continuare. Tutte ferite che sono in ultima analisi conseguenze del peccato, ma che hanno pure precisi riferimenti culturali. La preghiera può essere medicina che sutura le ferite, cicatrizza le lacerazioni. Ti lodo, mi hai fatto come un prodigio. Può sanare la ferita della memoria, l'oblio della creazione, e con essa può recuperare la coscienza della filiazione. «La lode è la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio»[7]. Non ti erano nascoste le mie ossa. Anche il mio corpo è creato: può sanare dalla dissociazione dello spiritualismo, dalla riduzione del materialismo. Conoscerò Dio per capirmi, consulterò Dio per orientarmi. Sono stupende le tue opere. Dio crea per amore, lo conosco nelle sue opere. Può sanare la ferita tra l'uomo e il creato. Scrutami, conosci il mio cuore: la verità per la mia libertà è che sono libero come una creatura di Dio che da Lui viene e a Lui sì riferisce. Vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita. Cura lo strappo tra la vita e il suo significato: recupera la vita senza senso ed evita il significato perseguito contro la vita. Rimette ordine nel cuore dell'uomo, come un'ecologia del cuore: la creatura più eccelsa è l'uomo, poi viene l'universo intero.

Dolcissima preghiera della Chiesa

Il leit-motiv del Salmo 139 citato dal Papa nella Evangelium vitae è preghiera dolcissima che, ripetuta nella Chiesa, copre efficacemente il fragore delle calunnie sull'uomo che «l'accusatore dei nostri fratelli» (Ap 12, 10), «omicida fin dal principio» (Gv 8, 44), non cessa di propagare. Così la Chiesa - ciascuno di noi - rimedia ai crimini contro la vita, restituisce a Dio quella gloria che è l'uomo vivente, prega per i bambini non nati. «Dio vivo e vero chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera»[8]. Nell'apertura a Dio della preghiera ci conosciamo e ci riconciliamo con il nostro essere: la preghiera della vita ci educa nel profondo del cuore. Cura nell'anima la ferita dello scoraggiamento, del pessimismo, dell'insicurezza. Cura la tristezza. Scioglie le immagini demoniache di Dio (dipinto come lontano, tiranno, cattivo). Ma può sorgere un'ultima resistenza, un'obiezione, una sorta di pudore: non è facile pregare così, non oso. Come posso dirmi prodigio davanti a Dio? Non sarà presunzione? E' proprio una preghiera così, insegnata dallo Spirito Santo che ci guarisce dalla presunzione vera, quella della superbia della vita che «non viene dal Padre, ma dal mondo» (Gv 2, 16), che ci insegna intimamente facendoci credere che la vita nasca da noi e finisca in noi. La superbia della vita ci porta a rifiutare di crederci prodigio di Dio, e ci conduce a crederci prodigio dell'uomo, dunque manipolabile, che si può fare e disfare, come un prodigio di morte. Anche i credenti sono feriti dalla lacerazione tra la fede e la vita: «Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all' interno delle stesse comunità cristiane» (EV n. 95). Pregare come prega il Papa, è già cominciare ad annunciare il Vangelo della vita, a celebrarlo, a ottenere la forza dì servirlo. I genitori possono insegnare questa preghiera ai figli: ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio, sono stupende tutte le tue opere. Per offrirsi a Dio al cominciare del giorno e di nuovo donarsi ringraziandolo, al declinare. I confessori possono suggerirla come rimedio; gli alunni impararla. I libri di preghiere aggiungerla, gli autori citarla. I cristiani tutti recitarla nel cuore o a fior di labbra, anche a brevi brani, quando riscoprono Dio creatore e Padre nell'esperienza del loro lavoro: «Sapendoci posti da Dio sulla terra, amati da Lui ed eredi delle sue promesse, il lavoro diviene preghiera, rendimento di grazie»[9]. Ottimismo soprannaturale, speranza, fiducia in Dio e in sé stessi per Dio, abbandono tra le mani paterne di Dio. Sguardo contemplativo su ogni uomo[10]. «Una grande preghiera per la vita che attraversi il mondo intero» (EV n. 100). Il coraggio di testimoniare il Vangelo della vita[11]. E tanti altri frutti buoni possiamo sperare da questa preghiera alla quale ci sentiamo invitati. La gioia incontenibile di Gesù - prodigio del Verbo incarnato - nel seno di Maria, scatena la gioia di Giovanni - prodigio nel seno di Elisabetta - che, incontenibile, fa esclamare alla madre: «Benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc l , 42). Allora Maria raccoglie tutte le gioie nello scrigno della sua preghiera e magnifica il Signore, che ha fatto in lei un prodigio infinito.
Andrea Mardegan

[1] GIOVANNI PAOLO Il, Varcare la soglia della speranza, Milano 1994.
[2] Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2586-2587.
[3] G. RAVASI, Il Libro dei Salmi , Bologna 1984, vol. III, p. 794; cfr anche J. C. NESMY, I Padri commentano il Salterio della Tradizione, Torino 1983, pp. 729-735.
[4] PAOLO VI, Pensiero alla morte, Istituto Paolo VI, Brescia 1988, p. 24.
[5] G. RAVASI, op. cit., p. 815. L'autore offre questa traduzione: «Ti ringrazio perché con atti prodigiosi mi hai fatto mirabile/ meravigliose sono le tue opere/ e la mia anima le riconosce pienamente» (Sal 139,14).
[6] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2719.
[7] Ibid ., n. 2639.
[8] lbid., n. 2567.
[9] Cfr Evangelium vitae. n. 83.
[10] Ibid ., preghiera finale.
[11] JOSEMARÌA ESCRIVÀ, È Gesù che passa, Milano 1982, n. 48.

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