Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

sabato 22 aprile 2017

Morale statica e morale dinamica (ita)


Già Aristotele diceva che il dominio dell'intelligenza e della volontà sugli "appetiti" doveva essere politico e non dispotico e che all’uomo è richiesto un lavorio di “un’intelligenza che desidera e di un desiderio che ragiona”.

Servais Pinckaers, La Via della felicità- alla riscoperta del Discorso della montagna:

Morale statica e morale dinamica

Troviamo qui la distinzione posta da Henri Bergson tra morale statica e morale dinamica. La morale statica è una morale di gruppo particolare, tribù o popolo, destinata ad assicurare l’ordine e la coesione interna, ma necessariamente limitata dalla contrapposizione al gruppo avverso. Essa è costituita da obbligazioni e divieti. La morale dinamica è connotata da un vivo slancio che supera i limiti posti dai gruppi umani fra di loro e si dimostra così capace di raggiungere tutti gli uomini. Bergson ravvisava questa morale realizzata nella carità che anima i mistici cristiani; egli la trovava esposta per l’appunto nel Discorso della montagna.

L’intuizione di Bergson è certamente esatta quanto all’essenziale e si collega, a modo suo, con il pensiero di sant’Agostino e di san Tommaso, tra gli altri, per i quali il Discorso della montagna era il testo proprio della nuova Legge, ma doveva essere compreso secondo l’azione massimamente dinamica dello Spirito Santo, che opera in noi mediante la fede e la carità. Così inteso, il Discorso della montagna diventa una fonte primaria della morale cristiana, più alta del Decalogo.

Questo insegnamento invita ciascuno di noi a domandarsi:
la nostra concezione della morale non rimane, in fondo, molto statica, e non partecipa veramente al dinamismo del Vangelo?
Non guardiamo troppo spesso alla morale come a una serie di obbligazioni determinate da precisi testi, da osservare a pena di peccato nei limiti esatti che le definiscono?
Il cristiano è allora colui che adempie i propri obblighi il più giustamente possibile secondo la legge del Decalogo. Anche la vita religiosa può essere intesa come sottomissione a un complesso di prescrizioni che aggiungono ai comandamenti, obbligatori per tutti, un supplemento di osservanze definite in una Regola e in Costituzioni. Il buon cristiano, il buon religioso, sarà dunque colui che ha adempiuto accuratamente gli obblighi e le osservanze che ne regolano lo stato di vita.
Il pericolo di fermarsi

Questo modo di vedere non è certo falso; esso comporta tuttavia un pericolo sottile e più grave di quanto si pensi: il rischio di ritenere che le esigenze della vita cristiana o della vita religiosa arrivino fino ai limiti fissati dalle leggi e dalle regole come misura sufficiente cui è possibile fermarsi, oltre la quale nessuno è obbligato ad andare. È invece proprio l’appello ad andare oltre il limite legale che costituisce il tratto specifico dell’insegnamento di Gesù nel Discorso della montagna. La morale dell’obbligo è statica perché essa si pone, magari inconsciamente, un punto di arresto secondo la legge, anche se le esigenze di quest’ultima sono situate molto in alto. La morale evangelica si distingue proprio per il fatto di rifiutare ogni fermata e di concentrarsi nel movimento a passare al di là. Sua legge è quella del sovrappiù, della sovrabbondanza; è una morale dello slancio. Questo è dunque il pericolo: che il minuzioso osservante della legge si arresti nel momento in cui ha adempiuto ciò che essa esige come a un punto sufficiente, senza avvedersi che questo medesimo senso di appagamento che lo induce al riposo gli fa mancare l’essenziale del Vangelo: questo slancio al di là, che è la legge interna della carità e, mediante essa, della vita secondo lo Spirito. In effetti, chi ama veramente non può arrestare in alcun momento la crescita del proprio amore senza correre il rischio di ferirlo e di perderlo ben presto.

Lo slancio dell’inizio

Non si creda che lo slancio morale di cui parliamo si addica solamente a cristiani già abbastanza avanti nella vita spirituale per avere di mira quella che si chiama perfezione.
Il Discorso si rivolge a tutti, a cominciare dai poveri, dagli umili, da coloro che soffrono, dai perseguitati. Si può anche rilevare che la consapevolezza di questo appello ad andare oltre spesso non è mai così chiara, così forte, come al momento dell’inizio della vita cristiana, nei giovani, al momento di una conversione, di una scelta vocazionale o in una prova cruciale. È in seguito, lungo il cammino e sotto il peso dei giorni, che il dubbio sull’appello a progredire e la tentazione del limite sufficiente si insinuano in noi.
Il Vangelo ci dice altresì che i peccatori e le prostitute possono avere più di certi giusti il senso di questo amore che spontaneamente oltrepassa i limiti.

Non ogni cambiamento è dinamico

La morale del Discorso è dinamica, dicevamo. È tuttavia opportuno non lasciarci trarre in inganno da un malinteso piuttosto frequente circa questo qualificativo. Poiché il dinamismo implica movimento, si potrebbe ritenere che una morale non sia dinamica se non cambia continuamente, persino nei comandamenti che la costituiscono e nei testi che la esprimono; una morale viva sarebbe essenzialmente una morale che si muove, soprattutto in favore della libertà, e che recepisce dunque oggi quello che ieri era proibito, adattandosi ai cambiamenti culturali della società.
Non è assolutamente in questo senso che è orientato il dinamismo del Vangelo. Lungi dallo scalfire i principali comandamenti, il Discorso li conferma e ne esige l’osservanza a livello del cuore e dell’intima volontà. Esso ci invita ad applicare a Dio la legge del sovrappiù: a chi ti domanda di fare un miglio, tu fanne due con lui. Se Dio ti chiede di rifuggire dall’uccidere, rifuggi anche dall’ira; se ti dice di guardarti dall’adulterio, evita anche i pensieri che vi conducono, e così similmente. È dunque nella medesima linea tracciata dai precetti del Decalogo che si sviluppa il dinamismo della morale evangelica, come lo slancio che proviene da un «sì» senza riserve al comandamento e si porta verso qualcosa che va oltre e ne è la pienezza.
Il dinamismo che attacca i comandamenti è superficiale e muove esattamente in senso contrario al Vangelo. Si situa il cambiamento a livello dei testi e delle obbligazioni e ci si immagina che occorra modificarli, il che significa spesso eliminarli, per promuovere o continuare la vita. Ma non ogni cambiamento significa necessariamente un progresso della vita; può essere benissimo indizio di un abbassamento del vigore morale, di una regressione, di una disgregazione, di un corrompimento in atto.


Nessun commento:

Posta un commento