Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

martedì 22 agosto 2017

Vivere fino alle ultime conseguenze la chiamata ad essere pienamente sé stessi secondo la stupenda originalità ricevuta in dono (Ita) e audio




Perché in un blog sulla corporeità parlo di virtù?
Perché si acquistano attraverso il corpo.

Una volta si chiamava santo colui che viveva in modo eroico tutte le virtù. Dico una volta perché nonostante sia un'idea ancora valida, va chiarita. Oggi, il sostantivo santo e virtù sono un po’ desueti.

Perché è necessario chiarire?

Perché per un certo periodo, le persone pensando che molto dipendeva dal loro sforzo, "lottavano" (per lo meno chi voleva dimostrare il suo amore per Dio) fino a vivere una "coazione di sé su sé stessi" che li portava o crollare o a diventare rigidi con l'illusione di poter diventare perfetti con le proprie forze ed in piena autonomia.

Va anche commentata la parola perfezione. Perfetto non è colui che non cade mai, ma colui che tende a e raggiunge il fine, cosa ben diversa e … meno stressante. Possiamo permetterci di sbagliare!

Questo spesso è stato conseguenza di un’educazione volontarista.  Oggi sembra che in un clima relativista come questo, questo pericolo non ci sia, ma di fatto anche Massimo Introvigne, esperto di nuova religiosità, dice che per esempio la stessa morale new age è volontarista, perché si toglie Dio e si pensa che da soli si può essere eterni e diventare Dio con la forza della propria mente.

Vogliamo veramente essere perfetti come chiede il Vangelo?

Penso convenga chiedere a Dio che ci dia l'amore con il quale vuole che lo amiamo, che permettiamo alla grazia di agire sulla nostra intelligenza e volontà trasformandoci e lasciando sempre più spazio a Dio.
È vero che si tratta sempre di cercare la perfezione, ma in un modo si mette l'accento su di sé ed il proprio lavoro ascetico, con l'altro su Dio.

Accento su di sé

La santità è vivere eroicamente tutte le virtù. C’è il rischio che, secondo l’antica etica del dovere, si diventi ancora più volontaristi e a dover essere perfetti a tutti i costi (e la società ci spinge a questo, eliminando la vulnerabilità). Le virtù che sono ea quae sunt ad finem o fini prossimi, sono ricercate per sé stesse in modo rigido che può diventare ossessivo, ed il circolo virtuoso intelligenza che desidera e desiderio che ragiona è eliminato con una coazione di sé su di sé.

E invece ci deve sempre essere carità verso sé stessi -in quanto figli di Dio fatti come un prodigio-, gli altri e Dio

Al giorno d’oggi, questo amore per sé stessi si è perso, perché questo amore spinge al dono di sé mentre l’ambiente tende a cercare di farci diventare autoreferenziali ed omogenei.

Accento su Dio e gli altri
Ci si rende conto che tutto è dono e che siamo creature. Quindi non è importante tanto quello che facciamo, ma la relazione che abbiamo con Lui, e quindi si ha più vita di preghiera ed abbandono. La “lotta” per abbandonarsi alla volontà di Dio è un gioco tra te e Lui e alla fine Dio ti fa il dono dell’abbandono. Sai che hai qualche virtù e qualche no. Come ci insegnano gli antichi, la crescita in una virtù fa crescere in tutte le altre e quindi invece di continuare a lottare invano su quello che gli antichi chiamavano difetto dominante che tale rimmarrà, si cresce nel resto, è un lavoro positivo e divertente che dà flessibilità, gioia e pace, e nello stesso tempo aiuta a crescere in umiltà perché è la persona a rendersi conto dei propri limiti, non perché te li dicono gli altri. Ed si ha sempre più bisogno di Lui…


È Dio che dà a ciascuno il proprio grado di santità e non spetta a noi volerne di più o di meno, a noi spetta solo desiderare di amare, non pensare a quanto siamo buoni, e fare quel poco che possiamo che è molto poco rispetto a quello che fa Lui, è un allungargli il braccio. Ognuno di noi è un bicchiere con una determinata capienza, non può esserne un altro. Non è la quantità ciò che importa, ma la qualità del contenuto. 

La sottoscritta, in seguito ad una visione che pensava solo all'eroismo nella virtù, era arrivata a non sopportarne più la parola, finché il mio professore di etica, a lezione ha fatto un semplicissimo schema che mi ha resa felice.

Virtù teologali
sono quelle che riguardano Dio: fede, speranza  e carità.

Virtù cardinali
sono quelle che riguardano l'uomo:

Prudenza riguarda la prudenza.
Giustizia riguarda la volontà.
Fortezza riguarda l'appetito irascibile, ovvero la grinta per ottenere qualcosa.
Temperanza riguarda l'appetito concupiscibile, ovvero il dominio di sé.

Si è insegnato che queste ultime sono acquisite con la ripetizione di atti, ma fino ad un certo punto... sono anche infuse, e questa seconda parte viene dimenticata.
Invece, anche se manca la virtù che la persona non ha ottenuto col proprio lavorio, non è detto che non la possa ricevere in dono, anche se manca il substrato umano per manifestarla...

Perché?

La risposta è in questa piccola frase di Agostino d'Ippona in CCC 1809 che recita:

«Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall'astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza) ». - Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: PL 32, 1330-1331.

Fatta questa piccola disquisizione, ora scrivo la definizione di santo che a me piace di più, o per lo meno ritengo attraente: 

Santo è "colui che ha vissuto fino alle ultime conseguenze la chiamata ad essere pienamente sé stesso, secondo la stupenda originalità che il creatore ha posto in lui". - Giovanni Paolo II, 1.11.1986.


🎤 A chi è cristiano può interessare la meditazione di Giovanni Zaccaria, professore di Liturgia alla PUSC:
Amare tutti i fratelli, anche i nemici


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