Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

sabato 2 dicembre 2017

Le Lettere di Cèline C. – Quella struggente tenerezza (Ita)

Non si può che partire da un’esperienza. Almeno io, se non faccio esperienza capisco solo a metà. E io un’esperienza l’ho fatta, ultimamente.
Mi sono sentita amata, molto, in un Istante che sapeva di Eternità. Un amico, “grande”, di fronte al quale non mi sento mai all’altezza, ha pianto con me. Pianto con me, capite? Non “per” me, ma “con” me. Non mi era mai capitato. Mi ha spiazzato. Mi ha sconvolto.
È diverso. Molto diverso. Perché se uno piange per te, spesso hai la sensazione che provi dolore per te e quindi in qualche modo il tuo dolore rischia quasi di aumentare, perché senti che oltre al tuo dolore, stai causando a qualcun altro del dolore.
Invece, che qualcuno pianga “con” te, è perché sente le tue stesse cose, le prova sulla sua pelle, sulla sua carne e nel suo cuore, lo prova. E non è che si stia caricando, lui sente il tuo cuore come se lo sentissi tu. Entra nella tua vita, diventa un unico cuore.
Quando accade una cosa così tu quel dolore riesci finalmente a viverlo, tutto, ogni goccia, perché senti che non è più sbagliato.
Non so se riesco a far comprendere la differenza. È diverso dal consolare. Consolare mi sa di un gesto che punta a non far sentire soli ma non sempre riesce ad arrivare al cuore. Piangere “con” invece è vivere sulla propria carne l’esperienza dell’altro. È coinvolgersi completamente con la sua vita, “compatire”, fino a piangere le stesse lacrime, fino a viverle su di sé, fino ad entrare nel suo dolore.
E se non l’avessi sperimentato non starei qui a raccontarlo. L’ho visto una volta e lo sto vedendo, non dico tutti i giorni ma quasi. Ci sono persone che vivono così e questo ti ribalta il cuore. E quando ne incontri una in un momento di grandissima difficoltà non puoi che pensare: “Gesù si è incarnato nel cuore di questa persona”.
Quello che ci blocca dal vivere il dolore spesso è sentire che il dolore è sbagliato, che nasce da uno sbaglio, e questo inevitabilmente ti fa sentire la vita intera sbagliata, tutta.
E vivere con questa percezione, che tu sei sbagliato o che la tua vita sia sbagliata, provoca una lacrima che il Cielo versa con te.
Quando uno piange con te non giudica il tuo dolore, lo sta vivendo, con te. C’è l’amore prima di tutto. E anche se quel dolore nasce da uno sbaglio, in quel momento non conta, in quel momento conta solo l’amore.
Così si riparte e ripartire è un percorso in salita. Ma un percorso in cui ogni passo è un Istante che sa di Eternità. Ogni passo è decisivo, va vissuto fino in fondo.
In quegli occhi che fanno compagnia ai tuoi occhi, il cuore intravvede il bene che è la tua vita, quel Bene che non riuscivi più a vedere. Nelle lacrime dell’altro vediamo riflesso quel Bene. Il cuore si riappropria del diritto di piangere.
Talvolta chi giudica ti nega quel diritto. Perché se hai sbagliato non puoi neanche permetterti di piangere. E se non piangi si blocca la vita. “Se non piangi si blocca la vita”, lo ripeto due volte perché è il punto attorno al quale ruota tutta la faccenda.
L’esperienza che qualcuno ti capisca al punto da piangere con te, ti fa riprendere in mano la vita.
Nell’esperienza che ho fatto ci ho visto Gesù. E quando l’ho capito ho compreso tutto il Bene: che se sbaglio non sono tutta sbagliata, posso ripartire perché c’è altro, molto altro, non sono la mia miseria, la mia vita vale.
Quando le tue lacrime sono condivise, sei dentro il Mistero del Suo Amore per te.
Il cuore vive una tenerezza struggente in certi frangenti, capace di sciogliere i grumi di resistenza che erano attaccati come calce al cuore.
La struggente tenerezza. Un Mistero Vivo, da contemplare, nell’esperienza.
Mi sono svegliata qualche giorno fa con il bisogno di ravvivare nella memoria un’immagine che non vedevo da tanto: ”la Pietà Rondanini” di Michelangelo Buonarroti.
Un blocco unico, madre e figlio. Una sull’altro. Uniti in un’unica lacrima. Le ginocchia di Cristo curvano quasi a simulare una lacrima enorme, la lacrima di tutto il Cielo insieme alle lacrime dell’umanità. Quella “pietas” per me è una lacrima che, dalla perfezione all’imperfezione, dal “detto e detto tutto” al “non detto e non detto niente”, dal tutto al niente, procede spedita verso la resurrezione.
Ho provato questo con questo amico: “due” uniti in un blocco unico che si è sciolto come il marmo di Michelangelo…….
Quella scultura è proprio un dolore che si scioglie, che cade, che molla come il corpo di Cristo, come quelle ginocchia morbide, piegate. Non è uno sciogliersi pesante, è un dissolversi in uno struggimento di amore.
Le lacrime di quel giorno hanno cominciato a rendere il marmo che ero, più vero, hanno fatto emergere tutti i colpi di scalpello, centinaia, che provocavano quel dolore.
Non mi vergognavo più. Perché se un altro è capace di comprendere così fino a piangere con te, non ti vergogni più di te e anzi, ti liberi di tutto il di più che aveva appesantito ulteriormente il tuo cuore.
In tutto quello che leggo negli ultimi tempi, che vivo nella mia vita, negli occhi dei miei amici che hanno storie di ricerca, di lotta, di passione infinita, io vedo delle anime che lottano costantemente per poter essere comprese, amate, amate così.
Siamo nati con questo immenso desiderio. Tutte desideriamo sempre un amore così. È un desiderio che Uno ci ha messo dentro. Un desiderio che non possiamo esserci costruiti da soli, è troppo grande per averlo potuto sviluppare da soli.
E se piango, piango perché qualcuno o io stessa ha disatteso quel desiderio sulla mia vita. Perché la mia vita è un Bene infinito. E solo quando quel Bene manca lo capisco, solo quando non lo vedo, non lo riconosco o gli altri non lo riconoscono, lo capisco.
Quando qualcuno piange con te accade qualcosa per cui cominci a renderti conto che dietro quella vergogna che provavi c’è di più, c’era un Bene bloccato per cui vale la pena ripartire.
Come la storia dei talenti. Se lo sotterri il talento la tua vita si blocca.
Piangere insieme a qualcuno e lasciare che quelle lacrime accarezzino tutte le scalpellate dolorose, che fanno parte di te, che ti rendono te, è Amore, è un atto di Misericordia e direi di misericordia reciproca. Perché la misericordia la viviamo verso noi stessi permettendo all’altro di entrarci nell’anima e aiutarci e la vive l’altro perché fa bene anche al suo cuore entrare nel nostro.
Misericordia, è una parola importante, che sa di “cattolico impegnato”, una parola che facciamo fatica ad usare nel parlato comune, ma io credo che sia l’unica parola capace di descrivere pienamente l’Amore.
Siamo tutti dei blocchi di marmo. E lo scultore, l’unico scultore che può davvero far emergere quello che siamo è l’Amore, perché l’Amore è in grado di far crollare le resistenze, anche quelle più ostinate.
Poi certo, c’è scultore e scultore. Qui parlo di uno scultore che quando ci mette il cuore, viene fuori la vita. Michelangelo alla fine della sua vita aveva allargato il cuore, è questo che colpisce in quell’opera meravigliosa; era entrato nel cuore dei personaggi che stava rappresentando e credo che i personaggi Vivi fossero entrati nel suo.
Gesù sta avendo sulla mia vita questo potere. Mi sta scalpellando con un amore infinito e finché resistevo i colpi li sentivo più duri, quasi violenti. E mi arrabbiavo e tanto anche, con Lui.
Ora ho capito. Che la sua mano sembra più dura quando io sono più dura, quando il marmo è pieno di venature. Quando mi fido, lui mi leviga, riesce a tirar fuori la Sua perfezione, quella che ha pensato per me.
E non resta che lasciarglielo fare … ho deciso di lasciarglielo fare perché quando vivi quella struggente tenerezza nel quotidiano, l’Istante è già Eternità e l’amore sta prendendo tutto!

M. Céline C. 


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