Introduzione
L’intimità e l’interiorità
L’immagine di sé
La donna e l’immagine di sé
L’invecchiamento e l’immagine di sé
Una lezione del Metodo Feldenkrais
Riepilogo
Bibliografia
L’immagine di sé
La donna e l’immagine di sé
L’invecchiamento e l’immagine di sé
Una lezione del Metodo Feldenkrais
Riepilogo
Bibliografia
Moshe
Feldenkrais inizia uno dei suoi libri più conosciuti così:
«Noi ci comportiamo secondo
l’immagine che abbiamo di noi stessi».
L'immagine di sé equivale all’opinione di sé, che a sua volta si basa sulla personalità, e questo lo spiegheremo meglio nei prossimi paragrafi. «Questa immagine di sé - che, da un lato, governa ciascun nostro atto - è condizionata in differenti gradi da tre fattori: eredità, educazione, autoeducazione».
*
L’eredità rende ciascuno di noi unico nella sua struttura fisica, nell’aspetto
e nelle reazioni. I fattori ereditari, secondo questo autore, sono i meno
variabili, infatti la costituzione biologica dell’individuo - la struttura e la
capacità del suo sistema nervoso, l’apparato osseo, i mu scoli i tessuti i
sensi ecc. - sono determinati da fattori ereditari, ancor prima che il soggetto
raggiunga una sua identità. La sua immagine di sé, invece, si sviluppa dalle
sue azioni e reazioni nel corso dell’esperienza quotidiana.
*
L’educazione invece determina un proprio linguaggio e stabilisce un modello di
concetti e reazioni, comuni a una specifica società e che variano a seconda
dell’ambiente nel quale una persona è nata.
Si
può dire che l’educazione influenza largamente l’orientamento della nostra
auto-educazione, che è l’elemento più attivo dello sviluppo e quello di più
frequente utilizzazione nell’ambito sociale, rispetto ai fattori biologici.
*
La nostra autoeducazione influenza il modo in cui acquisiamo l’educazione, come
la selezione del materiale che deve essere appreso e il rifiuto di quanto non
possiamo assimilare.
Si
può dire che educazione e auto-educazione intervengono in modo alternato.
Infatti nelle prime settimane di vita dell’uomo, l’educazione consiste
soprattutto nell’assorbire l’ambiente, mentre l'autoeducazione è quasi
inesistente e si manifesta nella tendenza al rifiuto o nella resistenza a tutto
ciò che è organicamente estraneo, o inaccettabile alle caratteristiche
ereditate dal neonato.
L’autoeducazione,
invece, progredisce e si stabilizza man mano che la persona cresce, sebbene non
finisca mai. Infatti il bambino sviluppa gradualmente caratteristiche
individuali, comincia a scegliere tra oggetti e azioni secondo la sua natura, e
non accetta più quello che l’educazione tenta di “imporgli”. Ne deriva che
l’educazione imposta le tendenze del nostro comportamento e delle nostre
azioni.
Di
questi tre fattori che influiscono nel formare l’immagine di sé, quello su cui
si può influire, e solo in parte, è l’auto-educazione; bisogna però tener conto
che essa tende a rendere il nostro comportamento simile a quello degli altri,
in quanto ognuno vuole essere accettato dalla società (M. Feldenkrais).
In
ognuno di noi, invece, «le caratteristiche organiche derivano dalla propria
eredità biologica e la loro espressione è importante per il funzionamento
ottimale dell’organismo. Poiché la tendenza della società all’uniformità crea
innumerevoli conflitti con le caratteristiche individuali, accomodamenti con la
società possono essere risolti sia con la soppressione dei bisogni organici
dell’individuo, sia con l’identificazione dell’individuo con i bisogni della
società (in tal modo non gli sembra di subire delle imposizioni), che può
arrivare al punto di far percepire all’individuo uno sradicamento, ogni volta
che manca di comportarsi secondo i valori della società stessa» (M.
Feldenkrais). Costretto dal mito dell’efficienza e del successo ad essere
quello che non è, l’uomo si fa una immagine che non è la sua, e così, per
“essere vincente”, cerca di identificarsi, di copiare qualche cosa, qualcuno
che non è, perde la propria identità, intimità.
Si
arriva all’assurdo di agire con una pressione
cosciente di sé su sé stesso (E. Mounier), ossia con una autoviolenza che
poi sfocia molto spesso in quello che eufemisticamente viene chiamato
“esaurimento nervoso”.
La
persona che non si ribella al rullo compressore di siffatta società è quindi
costretta a vivere dietro a una maschera, con cui si mostra agli altri e a sé
stessa. Ogni aspirazione o desiderio è soggetto a una critica rigorosa, per
paura di rivelare la propria natura. Tali aspirazioni e desideri tendono a
provocare ansietà e rimorsi e l’uomo cerca di reprimere l’impulso a
realizzarli.
L’unico
compenso che rende la vita accettabile nonostante ciò è la soddisfazione che
deriva dal riconoscimento, tributato all’individuo da parte della società, per
colui che raggiunge il successo così come è definito da essa. Il bisogno di un
appoggio costante da parte dei propri compagni di vita è così grande che molta
gente trascorre la maggior parte della propria vita rendendo più impenetrabile
la propria maschera. Il ripetersi
del successo è fondamentale nell’incoraggiare l’individuo a persistere in questa
mascherata.
«Per arrivare a ciò che non sai - devi andare per un cammino di
ignoranza. - Per possedere ciò che non possiedi - devi andare per un
cammino di spogliamento. - Per arrivare a ciò che non sei - devi andare
per dove non sei. -E ciò che non sai è l’unica cosa che sai. -E ciò che
possiedi è ciò che non possiedi. - E dove stai è dove non stai». (T. Eliot da S. Giovanni della Croce)
La persona, può migliorare l’immagine di sé, realizzandosi pienamente e diventando una persona di successo. Il vero successo non è quello dettato dalla società, ma quello indicato dall’individuo personale che si realizza attraverso una continua crescita e miglioramento. Ma per migliorare è necessario avere chiari dei fini; in altro modo il miglioramento non è possibile, sarebbe come prendere un treno senza sapere dove va. Nel nostro caso il fine si potrebbe considerare “l’immagine di sé compiuta”.
La persona, può migliorare l’immagine di sé, realizzandosi pienamente e diventando una persona di successo. Il vero successo non è quello dettato dalla società, ma quello indicato dall’individuo personale che si realizza attraverso una continua crescita e miglioramento. Ma per migliorare è necessario avere chiari dei fini; in altro modo il miglioramento non è possibile, sarebbe come prendere un treno senza sapere dove va. Nel nostro caso il fine si potrebbe considerare “l’immagine di sé compiuta”.
Visto
che la persona è uno spirito incarnato, abbiamo l’immagine del corpo e
l’immagine dell’anima. Feldenkrais, nella sua genialità agisce sull’immagine
corporea ed è ben consapevole che, nonostante essa non sia capace di sostituire
l’altra, contribuisce in misura non insignificante, vista l’unità psicosomatica
in cui consiste l’uomo. “Toccando il
corpo si tenta di sfiorare l’anima”, direbbe Feldenkrais stesso. Per lui
pensiero e azione sono un tutt’uno, nel senso che quello che pensiamo
necessariamente si manifesta con un cambiamento nelle nostre azioni. Pensiero e
azione influiscono l’uno sull’altro, e proprio per questo non possono essere
davvero un unico, ma un “uno duale”.
Spetta
ora a noi evitare di trasformare l'importanza relativa della dimensione focalizzata
in questo metodo affascinante, in un’importanza assoluta. Certo che il
coordinare i movimenti, riuscire a
compierli senza sforzo con il massimo dell’efficienza è utile per tutti e in
tutte le situazioni, ma questo, anche se non è poco, non è tutto. Questa
tecnica, infatti, dà un relativo benessere fisico, ma non tutto il benessere.
Alcune persone, invece, si fanno prendere da una preoccupazione eccessiva,
quasi una ossessione, trasformando la loro migliore funzionalità nel fine della
loro vita. E quindi invece di imparare ad amare e a donarsi, sono centrate in
sé stesse provocando una ipertrofia del
proprio io e facendo diventare il proprio corpo una sorta di idolo. E
queste sono le premesse per il proprio insuccesso.
Va
però aggiunto che è necessaria una “nuova educazione al movimento” che migliori
l’immagine corporea e non consideri l’attività motoria solo come sfogo. Si può
dire che in questo Feldenkrais è stato pioniere.
Un’ultima
considerazione rispetto al lavoro sull’immagine di sé, che mi sento di lasciar
cadere in ciascuno di noi, è la consapevolezza
di essere a immagine di un Dio padre, senza il quale non possiamo né
comprendere noi stessi, né realizzarci pienamente.
Leggi tutto:
Maria Raffaella Dalla Valle, L'immagine di sé in movimento, "Riza scienze", novembre 1995.
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