«C'è bisogno di un
cristianesimo che si distingua innanzitutto nell'arte della preghiera»
Giovanni Paolo II In Rosarium Virginis Mariae scrive che “c'è
oggi anche in Occidente una rinnovata esigenza di meditazione,
che trova a volte in altre religioni modalità piuttosto
accattivanti. Non mancano i cristiani
che, per la poca conoscenza della tradizione contemplativa cristiana, si lasciano
allettare da quelle proposte. Esse tuttavia, pur avendo elementi positivi e talvolta
integrabili con l'esperienza cristiana, nascondono spesso un fondo ideologico inaccettabile. Anche in
quelle esperienze è molto in voga una metodologia che, mirando al traguardo di un'alta
concentrazione spirituale, si avvale di tecniche di carattere psicofisico,
ripetitive e simboliche. Il Rosario si pone in questo quadro universale della
fenomenologia religiosa, ma si delinea con caratteristiche proprie, che
rispondono alle esigenze tipiche della specificità cristiana.
In effetti, esso non è che un
metodo per contemplare. Come metodo, va utilizzato in relazione al fine
e non può diventare fine a sé stesso. Tuttavia, essendo frutto di
secolare esperienza, anche il metodo non va sottovalutato. Milita
a suo favore l'esperienza di innumerevoli Santi”.
Sotto, una breve storia storia del Rosario di Massimo Introvigne,
alcuni brani dalla Rosarium Virginis
Mariae e l’audio della stessa.
Audio🎤:
UN METODO DI CONTEMPLAZIONE: IL ROSARIO
5. (…) Il motivo più importante per
riproporre con forza la pratica del Rosario è il fatto che esso costituisce un
mezzo validissimo per favorire tra i fedeli quell'impegno di contemplazione del mistero cristiano che ho proposto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte come vera e propria
'pedagogia della santità': «C'è bisogno di un cristianesimo che si
distingua innanzitutto nell'arte della preghiera». (9) Mentre nella cultura contemporanea,
pur tra tante contraddizioni, affiora una nuova esigenza di spiritualità,
sollecitata anche da influssi di altre religioni, è più che mai urgente che le
nostre comunità cristiane diventino «autentiche 'scuole' di preghiera». (10)
Il Rosario si pone nella migliore e
più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. Sviluppatosi in Occidente, esso è
preghiera tipicamente meditativa e corrisponde, in qualche modo, alla «preghiera del cuore» o «preghiera
di Gesù» germogliata sull'humus dell'Oriente cristiano.
Un
volto splendido come il sole
9. «E apparve trasfigurato davanti a loro; il suo
volto brillò come il sole» (Mt 17, 2). La scena
evangelica della trasfigurazione di Cristo, nella
quale i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni appaiono come rapiti dalla bellezza del Redentore,
può essere assunta ad icona della contemplazione cristiana. Fissare gli occhi sul
volto di Cristo, riconoscerne il mistero nel cammino ordinario e doloroso della
sua umanità, fino a coglierne il fulgore divino definitivamente manifestato nel
Risorto glorificato alla destra del Padre, è il compito di ogni discepolo di
Cristo; è quindi anche compito nostro. Contemplando questo volto ci apriamo ad
accogliere il mistero della vita trinitaria, per sperimentare sempre nuovamente
l'amore del Padre e godere della gioia dello Spirito Santo. Si realizza così
anche per noi la parola di san Paolo: «Riflettendo come in uno specchio la
gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18).
Maria
modello di contemplazione
10. La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo
modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che
si è plasmato, prendendo da Lei anche un'umana somiglianza che evoca un'intimità
spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è
dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo
su di Lui già nell'Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi
successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando
finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano
teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella
mangiatoia (cfr Lc 2, 7).
Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante
stupore, non si staccherà più da Lui. Sarà talora uno sguardo interrogativo,
come nell'episodio dello smarrimento nel tempio: «Figlio, perché ci hai fatto
così?» (Lc 2, 48); sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere
nell'intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le
scelte, come a Cana (cfr Gv 2, 5); altre volte sarà uno sguardo addolorato,
soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della
'partoriente', giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte
dell'Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo
prediletto (cfr Gv 19, 26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso
per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardente per l'effusione
dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1, 14).
I
ricordi di Maria
11. Maria vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro
di ogni sua parola: «Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc
2, 19; cfr 2, 51). I ricordi di Gesù, impressi nel suo animo, l'hanno accompagnata
in ogni circostanza, portandola a ripercorrere col pensiero i vari momenti della sua vita accanto al Figlio. Sono stati quei ricordi a costituire, in
certo senso, il 'rosario' che Ella stessa ha costantemente recitato nei giorni
della sua vita terrena. Ed anche ora, tra i canti di gioia della
Gerusalemme celeste, i motivi del suo grazie e della sua lode permangono immutati. Sono essi ad ispirare la
sua materna premura verso la Chiesa pellegrinante, nella quale Ella continua a
sviluppare la trama del suo 'racconto' di evangelizzatrice. Maria ripropone continuamente ai credenti i
'misteri' del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la
loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza
col ricordo e con lo sguardo di Maria.
Rosario,
preghiera contemplativa
12. Il Rosario, proprio a partire
dall'esperienza di Maria, è una preghiera spiccatamente contemplativa. Privato di questa
dimensione, ne uscirebbe snaturato, come sottolineava Paolo VI: «Senza
contemplazione, il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di
divenire meccanica ripetizione di formule e di
contraddire all'ammonimento di Gesù: 'Quando pregate, non siate ciarlieri come
i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità' (Mt
6,7). Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un
indugio pensoso, che favoriscano nell'orante la meditazione dei misteri della
vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più
vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze». (14)
Mette conto di soffermarci su questo
profondo pensiero di Paolo VI, per far emergere alcune dimensioni del Rosario che meglio ne
definiscono il carattere proprio di contemplazione cristologica.
IL ROSARIO, VIA DI ASSIMILAZIONE DEL MISTERO
26. La meditazione dei misteri di
Cristo è proposta nel Rosario con un metodo caratteristico, atto per sua natura
a favorire la loro assimilazione. È il metodo basato sulla ripetizione.
Ciò vale innanzitutto per l'Ave Maria, ripetuta per ben dieci volte ad ogni
mistero. Se si guarda superficialmente a questa ripetizione,
si potrebbe essere tentati di ritenere il Rosario una pratica arida e noiosa.
Ben altra considerazione, invece, si può giungere ad avere della Corona, se la
si considera come espressione di quell'amore che non si stanca di tornare alla
persona amata con effusioni che, pur simili nella manifestazione, sono sempre
nuove per il sentimento che le pervade.
In Cristo, Dio ha assunto davvero un «cuore
di carne». Egli non ha soltanto un cuore divino, ricco di misericordia e di
perdono, ma anche un cuore umano, capace di tutte le vibrazioni dell'affetto.
Se avessimo bisogno in proposito di
una testimonianza evangelica, non sarebbe difficile trovarla nel toccante
dialogo di Cristo con Pietro dopo la Risurrezione: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Per ben tre volte è posta la domanda, per ben tre volte è data la
risposta: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (cfr Gv 21, 15-17). Al di là
dello specifico significato del brano, così importante per la missione di
Pietro, a nessuno sfugge la bellezza di questa triplice ripetizione, in cui
l'insistente richiesta e la relativa risposta si esprimono in termini ben noti
all'esperienza universale dell'amore umano. Per comprendere il Rosario, bisogna
entrare nella dinamica psicologica che è propria dell'amore.
Una cosa è chiara: se la ripetizione
dell'Ave Maria si rivolge direttamente a Maria, con Lei e attraverso di Lei è in definitiva a
Gesù che va l'atto di amore. La ripetizione si alimenta del desiderio di una conformazione sempre
più piena a Cristo, vero 'programma' della vita cristiana.
San Paolo ha enunciato questo
programma con parole infuocate: Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). E
ancora: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»
(Gal 2, 20). Il Rosario ci aiuta a
crescere in questa conformazione fino al traguardo della santità.
Un metodo valido...
27. Che il rapporto con Cristo possa
avvalersi anche dell'aiuto di un metodo non deve stupire.
Iddio si comunica all'uomo
rispettando il modo di essere della nostra natura ed i suoi ritmi vitali.
Per questo la spiritualità cristiana,
pur conoscendo le forme più sublimi del silenzio mistico, nel quale tutte le immagini, le parole e i
gesti sono come superati dall'intensità di una unione ineffabile dell'uomo con
Dio, è normalmente segnata dal coinvolgimento totale della persona, nella sua complessa
realtà psico-fisica e relazionale.
Questo appare in modo evidente nella
Liturgia. I Sacramenti e i sacramentali sono strutturati con una serie di riti,
che chiamano in causa le diverse dimensioni della persona. Anche la preghiera non
liturgica esprime la stessa esigenza. Lo conferma il fatto che, in Oriente, la
più caratteristica preghiera della meditazione cristologica, quella centrata
sulle parole: «Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore»,
(34) è tradizionalmente legata al ritmo
del respiro, che, mentre favorisce la perseveranza nell'invocazione, assicura
quasi una densità fisica al desiderio che Cristo diventi il respiro, l'anima e
il 'tutto' della vita.
... che tuttavia può essere migliorato
28. Ho ricordato, nella Lettera
apostolica Novo millennio ineunte, che c'è oggi
anche in Occidente una rinnovata esigenza di meditazione, che trova a volte in
altre religioni modalità piuttosto accattivanti. (35) Non mancano i cristiani che, per la poca conoscenza della
tradizione contemplativa cristiana, si lasciano allettare da quelle proposte.
Esse tuttavia, pur avendo elementi positivi e talvolta integrabili con
l'esperienza cristiana, nascondono spesso un fondo ideologico inaccettabile.
Anche in quelle esperienze è molto in voga una metodologia che, mirando al
traguardo di un'alta concentrazione spirituale, si avvale di tecniche di
carattere psicofisico, ripetitive e simboliche. Il Rosario si pone in questo
quadro universale della fenomenologia religiosa, ma si delinea con
caratteristiche proprie, che rispondono alle esigenze tipiche della specificità
cristiana.
In effetti, esso non è che un metodo
per contemplare. Come metodo, va utilizzato in relazione al fine e non può
diventare fine a sé stesso. Tuttavia, essendo frutto di secolare esperienza,
anche il metodo non va sottovalutato. Milita a suo favore l'esperienza di
innumerevoli Santi. Ciò non toglie, però, che esso possa essere migliorato.
Proprio a questo mira l'integrazione, nel ciclo dei misteri, della nuova serie
dei mysteria lucis, unitamente ad
alcuni suggerimenti relativi alla recita che propongo in questa Lettera. Con
essi, pur rispettando la struttura ampiamente consolidata di questa preghiera,
vorrei aiutare i fedeli a comprenderla nei suoi risvolti simbolici, in sintonia
con le esigenze della vita quotidiana. Senza questo, c'è il rischio che il
Rosario non solo non produca gli effetti spirituali auspicati, ma persino che
la corona, con la quale si è soliti recitarlo, finisca per essere sentita alla
stregua di un amuleto o di un oggetto magico, con un radicale travisamento del suo
senso e della sua funzione.
L'enunciazione del mistero
29. Enunciare il mistero, e magari avere
l'opportunità di fissare contestualmente un'icona che lo raffiguri, è
come aprire uno scenario su cui concentrare l'attenzione. Le parole guidano l'immaginazione
e l'animo a quel determinato episodio o momento della vita di Cristo. Nella spiritualità
che si è sviluppata nella Chiesa, sia la venerazione di icone che le molte
devozioni ricche di elementi sensibili, come anche lo stesso metodo
proposto da sant'Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali, hanno fatto
ricorso all'elemento visivo e immaginativo (la
compositio loci), ritenendolo di grande aiuto per
favorire la concentrazione dell'animo sul mistero. È una metodologia, del resto,
che corrisponde alla logica stessa dell'Incarnazione: Dio ha voluto prendere,
in Gesù, lineamenti umani. È attraverso la sua realtà corporea che noi veniamo condotti a prendere contatto con il suo mistero divino. A questa esigenza di concretezza
risponde anche l'enunciazione dei vari misteri del Rosario. Certo, essi non sostituiscono il
Vangelo e neppure richiamano tutte le sue pagine. Il Rosario, pertanto, non sostituisce la lectio
divina, al contrario la suppone e la promuove. Ma se i misteri considerati nel Rosario, anche con il
completamento dei mysteria lucis, si
limitano alle linee fondamentali della vita di Cristo, da
essi l'animo può facilmente spaziare sul resto del Vangelo, soprattutto quando il Rosario è
recitato in particolari momenti di prolungato raccoglimento.
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