Nell'annunciazione
Maria è vista come “la rappresentante e l'archetipo” sia degli uomini
che delle donne

Scrive San Paolo: "... quando venne la
pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna..." (Gal
4,4-7). Questa affermazione, apparentemente ovvia - perché da dove mai nasce un
essere umano, se non da una donna - qui è però riferita al Cristo e
colloca quindi la femminilità al vertice della gerarchia dei valori (cit.
card. Giacomo Biffi). Se l’apostolo avesse scritto “nato da Maria” , avremmo
pensato ad un dettaglio biografico. Ma avendo detto “nato da donna”, ha dato
alla sua affermazione una portata universale ed immensa, perché è la donna
stessa, ogni donna, ad essere elevata, in Maria, alla sua incredibile altezza.
Non c'è Dio incarnato senza la donna: il Concilio
di Efeso (431) ne ebbe tanta consapevolezza che i duecento padri presenti
proclamarono all'unanimità Maria, la donna, “Theotòkos/Madre di Dio”. Voglio
allora ricordare altre donne bibliche: Tamar, Raab, Rut e Betsabea, che sono
presenti nella genealogia matteana di Gesù, nonostante si tratti di quattro
donne le cui storie presentano certamente degli elementi di scandalo nella
cultura del tempo, perché straniere o peccatrici.
Eppure sono lì, nominate una per una, grandiose antenate del Natale di Gesù: questo a significare come Dio si inserisce nella storia umana scardinandone le strutture patriarcali e maschiliste, fino al culmine della dignità di una donna, cioè essere Madre di Dio. E Maria sarà chiamata “benedetta fra le donne” intendendo questa benedizione rivolta non solo a Maria ma ad ogni donna, nella quale cresce ogni figlio di Dio, “frutto benedetto del grembo”.
Eppure sono lì, nominate una per una, grandiose antenate del Natale di Gesù: questo a significare come Dio si inserisce nella storia umana scardinandone le strutture patriarcali e maschiliste, fino al culmine della dignità di una donna, cioè essere Madre di Dio. E Maria sarà chiamata “benedetta fra le donne” intendendo questa benedizione rivolta non solo a Maria ma ad ogni donna, nella quale cresce ogni figlio di Dio, “frutto benedetto del grembo”.
Giovanni Paolo II nella Mulieris
Dignitatem ribadisce la partecipazione decisiva di Maria all'incarnazione,
considerata centro della storia: “Proprio quella ‘donna’ è presente
nell'evento centrale salvifico, che decide della ‘pienezza del tempo’: questo
tempo si realizza in lei e per mezzo di lei" (MD 30). Il Papa
indica nella donna di Nazareth la manifestazione della straordinaria dignità
della donna: “…l'evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col
Dio vivo, che può appartenere solo alla ‘donna’ Maria: l'unione tra madre e
figlio. La Vergine di Nazareth diventa, infatti, la Madre di Dio” (MD 4).
Questo modo di procedere del Papa rompe la
dicotomia dei paradigmi, propria di chi presenta Gesù come modello degli uomini
e Maria come modello per le donne. Nell'annunciazione Maria è vista come “la
rappresentante e l'archetipo” sia degli uomini che delle donne. E i valori
ritenuti tipicamente femminili, di cura, accoglienza e tenerezza, devono essere
incarnati anche dagli uomini, così come valori tipicamente maschili quali
l’autorità e la forza devono trovare spazio nell’esperienza delle donne.
L’autorevolezza della maternità sta anche
nell’evocare quasi naturalmente una più marcata esigenza religiosa, nel
rimandare alla radice dell’esistenza dell’io che può solo ricevere la vita e
renderne grazie. Questo rimandare ad un Altro è già implicita evocazione di Dio
e lega la maternità al divino (Giulia Paola di Nicola). In questo senso la maternità
deve essere vissuta spiritualmente anche dagli uomini perché esprime al
massimo livello l’intenzione relazionale dell’atto sociale attraverso il quale
ciascuno dà se stesso, e quindi in un certo senso si “svuota” per ospitare
l’altro. Il lavoro del femminismo in questa direzione può essere letto come un
estendere alla società e alla cultura, consapevolmente o meno, il codice
materno, per una più adulta umanizzazione della convivenza, nell’impegno
costante di tutelare ed esaltare la creatura umana, a partire dai più
piccoli e dagli ultimi della Terra.
E in questa umanizzazione Gesù, “nato da Donna”,
non ha avuto paura di apparire umano, perfino “troppo umano”, come scrive nel
suo ultimo libro I Care Humanum, l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace,
mons. Vincenzo Bertolone: “Gesù è umano quando non resiste alle
lacrime della vedova di Nain e le restituisce il figlio, senza che la
donna glielo abbia chiesto; è umano quando si siede sull’orlo di un
pozzo perché, stanco, ha sete, e lo dice a una donna capitata
là oltre i normali tempi delle altre massaie, a quasi per non farsi vedere
a motivo della sua vita familiare… è umano quando lascia che i bambini
vengano a Lui…”.
È questa l’ umanità che scaturisce
dall’Incarnazione di Gesù, “nato da donna”: e la maternità diviene il codice dell’umanizzazione
kenotica e salvifica del mondo.
Anna Rotundo
CATANZARO, 22 Dicembre 2014 (Zenit.org).
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