La narrativa del movimento
Sommario
9
Editoriale
11 Introduzione
15 La narrativa Feldenkrais
37 Il Metodo Feldenkrais
67 Laboratorio Feldenkrais
37 Il Metodo Feldenkrais
67 Laboratorio Feldenkrais
77 Imparare ad imparare
88 Bibliografia
88 Bibliografia
Leggi il fascicolo:
Introduzione
“La
maggior parte delle persone attive
e
soddisfatte vive dietro la maschera che permette loro
di soffocare,
con
maggior o minor dolore, qualsiasi vuoto essi avvertono dentro di sé, quando si
fermano
e ascoltano il loro cuore”. - Moshe Feldenkrais
Questa frase è inserita nella prefazione di un libro che comincia così: «Noi
ci comportiamo secondo l’immagine che abbiamo di noi stessi. Questa immagine di
sé, che da un lato governa ciascun nostro atto, è condizionata in differenti
gradi da tre fattori: eredità, educazione e autoeducazione».
La narrativa Feldenkrais
•
La maschera: animale razionale e dipendente
•
La grammatica del movimento
•
Il fotogramma: il "presente "come storia vissuta
Nel
metodo Feldenkrais possiamo dire
che
c'è una "narrativa del movimento",
frutto della storia corporea della persona.
In questo senso sono da leggere le abitudini, i traumi, l'attività motoria esercitata nel passato, l'influenza
emotiva...
Feldenkrais ci stimola
ad imparare a vivere un'unità nel movimento.
La
frase sulla maschera ha collegamento con la biografia drammatica narrativa che
oggi comincia a prendere piede nel campo della salute e dell’etica.
Per
ognuno di noi, infatti, è stata creata una maschera particolare per quella che
è la nostra “parte” nella vita. La maschera
è la persona stessa quando arriva a conoscere sé stessa in modo adeguato. Non è
possibile separare l’attore e la maschera perché chi compie l’atto diventa ciò
che ha compiuto.
Nel
conoscersi attraverso il movimento si ha un’immagine di sé prima del processo e
il traguardo sarà la conoscenza di ciò che veramente si è almeno in un certo
aspetto della propria esistenza.
Feldenkrais
come altre persone geniali propone l’unità, l’holos, unità corpo-anima e unità di vita tra passato, presente e
futuro. Ci vuole aiutare a vivere il momento presente con amore, anche dal
punto di vista corporeo; ci vuole insegnare a essere attori-autori della nostra
vita, tenendo conto che la realtà è morbida all’intenzionalità per ché siamo
noi a determinare quello che facciamo.
L'unità della persona umana: animale
razionale dipendente
Le
visioni della persona sono varie: c’è chi la vede come anima e corpo in modo
dualista, chi come un’unica cosa senza distinzioni, chi come un’unità di diverse
dimensioni.
Feldenkrais
crede molto nell’unità e scrive: «I metodi di cura dei blocchi e dello sviluppo
emotivo e fisico mostrano una gran de divisione tra la teoria e la pratica. La
maggior parte delle teorie parla di “entità biologica”, o sostiene che l’uomo
deve esse re considerato come «Un “tutto unico”, una "unità", una “globalità”, ma
in pratica ogni scuola tratta direttamente solo una piccola parte della
personalità tanto che nella pratica psichiatrica perfino la psiche è suddivisa
e anche il corpo lo è nella ri- educazione fisica».
Considerando
il pensiero di Feldenkrais sono convinta che si entusiasmerebbe leggendo i testi
di Alasdair Maclntyre e di Robert Gahl. Questi autori, quando parlano della
persona, sottolineano l’importanza dell’animalità umana e non parlano di un Io
disincarnato (disembodied) autonomo e perfino neutro.
Infatti,
quando qualcuno che amiamo scompare, diciamo che “è morto”, non che il “suo
corpo è morto”. Inoltre, mettono in evidenza anche che l’uomo raggiunge la perfezione
umana solo attraverso quelle costrizioni peculiari dell’animalità umana (Gahl).
Alcuni
autori «... hanno sottovalutato l’importanza del fatto che i nostri corpi
sono corpi animali, con l’identità e la continuità dei corpi animali, e non sono
riusciti a capire che in questa vita noi non semplicemente abbiamo, ma siamo i
nostri corpi». Tommaso d’Aquino già ai suoi tempi scriveva che: «Dal momento
che l’anima è parte del corpo dell’essere umano, l’anima non è l’intero essere
umano e la mia anima non corrisponde al mio io». E un pensiero che va riconsiderato
magari rileggendo anche le ricerche fenomenologi che che hanno portato M.
Merleau Ponty, filosofo francese, a concludere che “Io sono il mio corpo”.
«Gli
aristotelici avevano posto l’accento sulla distinzione tra il vivente e
l’inanimato, includendo gli esseri umani nel genere degli “animali” in modo che
persino la razionalità specifica degli uomini dovesse essere in tesa come una
forma di razionalità animale. A partire da Darwin, poi, noi dovremmo ormai aver
acquisito il dato che la storia umana, quale essa sia stata, è la storia
naturale di una tra le diverse specie animali e che può sempre esser utile, e
spesso è necessario, leggere una simile storia in parallelo con quella di qualche
altra specie animale» (A. Maclntyre). Questo è sottolineato anche da
Feldenkrais.
Troppo spesso dimentichiamo con facilità la nostra corporeità e che il nostro pensare è quello proprio di una particolare specie animale. Dimentichiamo la dipendenza che si manifesta nella relazionalità, nell’essere in società, nel realizzare che il nostro benessere personale dipende dagli altri. Una delle tesi dei nuovi studi, infatti, è che: «Le virtù di cui abbiamo bisogno se dobbiamo progredire dalla nostra iniziale condizione animale a quella di agenti razionali indipendenti, sono le stesse identiche virtù che ci permettono di interagire e di dare risposta alla vulnerabilità e alla disabilità nostra ed altrui. Esse sono le virtù di animali razionali dipendenti, la cui dipendenza, razionalità, animalità vanno comprese in reciproca relazione».
Le virtù di indipendenza razionale permettono alla persona di orientare la propria vita al di sopra delle pulsioni immediate con un corretto uso della razionalità e dell’immaginazione rivolta al futuro. Quelle della di pendenza riconosciuta insegna no ad accettare di essere soggetti agli altri ed alla realtà nel suo complesso. «Senza la comprensione della dipendenza, non si capirà mai come agire nei con fronti di chi è dipendente, che cosa può insegnarci chi è malato e perché rispettare chi si trova in una situazione che un giorno potrebbe essere la mia, ma soprattutto, non si potrà mai comprendere la perfezione del giudizio razionale indipendente e insegnarla ad altri e tutto ciò separatamente da un’inevitabile dipendenza» (D’Avenia).
«La disabilità, tanto fisica quanto morale, è un limite del corpo: di conseguenza, le abitudini mentali che implicano una negazione del dato della sensibilità e della dipendenza porte ranno a una considerazione inadeguata delle dimensioni corporali della nostra esistenza, quando addirittura non arriveranno a negarle».
Benché la nostra differenza con gli altri animali vada sottolineata, ha una certa rilevanza il fatto che durante l’infanzia e anche in seguito ci comportiamo nel mondo in modo assai simile agli altri animali intelligenti. «Anche quando superiamo alcuni dei loro limiti, non arriviamo mai ad affrancarci completamente da quanto abbiamo in comune con loro. Di fatto la nostra abilità nel superare quei limiti dipende in parte da alcune di quelle caratteristiche animali: tra queste la natura della nostra identità (...). L’identità umana è in primo luogo, se non addirittura soltanto corporea e di conseguenza è un’identità animale, ed è in riferimento a questa identità che le continuità delle nostre relazioni con gli altri sono parzialmente definite».
Studiando gli altri animali, per esempio il delfino tursiope, si arriva ad un modo nuovo di guardare alla natura umana.
Nessun commento:
Posta un commento