Già Aristotele diceva che il dominio dell'intelligenza e della volontà sugli "appetiti" doveva essere politico e non dispotico e che all’uomo è richiesto un lavorio di “un’intelligenza che desidera e di un desiderio che ragiona”.
Servais Pinckaers, La Via della felicità- alla riscoperta del Discorso della montagna:
Morale statica e morale dinamica
Troviamo
qui la distinzione posta da Henri Bergson tra morale statica e morale dinamica.
La morale statica è una morale di gruppo particolare, tribù o popolo, destinata
ad assicurare l’ordine e la coesione interna, ma necessariamente limitata dalla
contrapposizione al gruppo avverso. Essa è costituita da obbligazioni e
divieti. La morale dinamica è connotata da un vivo slancio che supera i limiti
posti dai gruppi umani fra di loro e si dimostra così capace di raggiungere
tutti gli uomini. Bergson ravvisava questa morale realizzata nella carità che
anima i mistici cristiani; egli la trovava esposta per l’appunto nel Discorso della montagna.
L’intuizione
di Bergson è certamente esatta quanto all’essenziale e si collega, a modo suo,
con il pensiero di sant’Agostino e di san Tommaso, tra gli altri, per i quali
il Discorso della montagna era il
testo proprio della nuova Legge, ma doveva essere compreso secondo l’azione
massimamente dinamica dello Spirito Santo, che opera in noi mediante la fede e
la carità. Così inteso, il Discorso della montagna diventa una fonte primaria
della morale cristiana, più alta del Decalogo.
Questo
insegnamento invita ciascuno di noi a domandarsi:
la nostra concezione della morale non
rimane, in fondo, molto statica, e non partecipa veramente al dinamismo del
Vangelo?
Non guardiamo troppo spesso alla
morale come a una serie di obbligazioni determinate da precisi testi, da
osservare a pena di peccato nei limiti esatti che le definiscono?
Il
cristiano è allora colui che adempie i propri obblighi il più giustamente
possibile secondo la legge del Decalogo. Anche la vita religiosa può essere
intesa come sottomissione a un complesso di prescrizioni che aggiungono ai
comandamenti, obbligatori per tutti, un supplemento di osservanze definite in
una Regola e in Costituzioni. Il buon cristiano, il buon religioso, sarà dunque
colui che ha adempiuto accuratamente gli obblighi e le osservanze che ne
regolano lo stato di vita.
Questo
modo di vedere non è certo falso; esso comporta tuttavia un pericolo sottile e
più grave di quanto si pensi: il rischio di ritenere che le esigenze della vita
cristiana o della vita religiosa arrivino fino ai limiti fissati dalle leggi e
dalle regole come misura sufficiente cui è possibile fermarsi, oltre la quale
nessuno è obbligato ad andare. È invece proprio l’appello ad andare oltre il
limite legale che costituisce il tratto specifico dell’insegnamento di Gesù nel
Discorso della montagna. La morale dell’obbligo è statica perché essa si pone,
magari inconsciamente, un punto di arresto secondo la legge, anche se le
esigenze di quest’ultima sono situate molto in alto. La morale evangelica si
distingue proprio per il fatto di rifiutare ogni fermata e di concentrarsi nel
movimento a passare al di là. Sua legge è quella del sovrappiù, della
sovrabbondanza; è una morale dello slancio. Questo è dunque il pericolo: che il
minuzioso osservante della legge si arresti nel momento in cui ha adempiuto ciò
che essa esige come a un punto sufficiente, senza avvedersi che questo medesimo
senso di appagamento che lo induce al riposo gli fa mancare l’essenziale del
Vangelo: questo slancio al di là, che è la legge interna della carità e,
mediante essa, della vita secondo lo Spirito. In effetti, chi ama veramente non
può arrestare in alcun momento la crescita del proprio amore senza correre il
rischio di ferirlo e di perderlo ben presto.
Lo slancio dell’inizio
Non
si creda che lo slancio morale di cui parliamo si addica solamente a cristiani
già abbastanza avanti nella vita spirituale per avere di mira quella che si
chiama perfezione.
Il
Discorso si rivolge a tutti, a cominciare dai poveri, dagli umili, da coloro
che soffrono, dai perseguitati. Si può anche rilevare che la consapevolezza di
questo appello ad andare oltre spesso non è mai così chiara, così forte, come
al momento dell’inizio della vita cristiana, nei giovani, al momento di una
conversione, di una scelta vocazionale o in una prova cruciale. È in seguito,
lungo il cammino e sotto il peso dei giorni, che il dubbio sull’appello a
progredire e la tentazione del limite sufficiente si insinuano in noi.
Il Vangelo ci dice altresì che i
peccatori e le prostitute possono avere più di certi giusti il senso di questo
amore che spontaneamente oltrepassa i limiti.
Non ogni cambiamento è dinamico
La
morale del Discorso è dinamica, dicevamo. È tuttavia opportuno non lasciarci
trarre in inganno da un malinteso piuttosto frequente circa questo
qualificativo. Poiché il dinamismo implica movimento, si potrebbe ritenere che
una morale non sia dinamica se non cambia continuamente, persino nei
comandamenti che la costituiscono e nei testi che la esprimono; una morale viva
sarebbe essenzialmente una morale che si muove, soprattutto in favore della
libertà, e che recepisce dunque oggi quello che ieri era proibito, adattandosi
ai cambiamenti culturali della società.
Non
è assolutamente in questo senso che è orientato il dinamismo del Vangelo. Lungi
dallo scalfire i principali comandamenti, il Discorso li conferma e ne esige
l’osservanza a livello del cuore e dell’intima volontà. Esso ci invita ad
applicare a Dio la legge del sovrappiù: a chi ti domanda di fare un miglio, tu
fanne due con lui. Se Dio ti chiede di rifuggire dall’uccidere, rifuggi anche
dall’ira; se ti dice di guardarti dall’adulterio, evita anche i pensieri che vi
conducono, e così similmente. È dunque nella medesima linea tracciata dai
precetti del Decalogo che si sviluppa il dinamismo della morale evangelica,
come lo slancio che proviene da un «sì» senza riserve al comandamento e si
porta verso qualcosa che va oltre e ne è la pienezza.
Il
dinamismo che attacca i comandamenti è superficiale e muove esattamente in
senso contrario al Vangelo. Si situa il cambiamento a livello dei testi e delle
obbligazioni e ci si immagina che occorra modificarli, il che significa spesso
eliminarli, per promuovere o continuare la vita. Ma non ogni cambiamento
significa necessariamente un progresso della vita; può essere benissimo indizio
di un abbassamento del vigore morale, di una regressione, di una disgregazione,
di un corrompimento in atto.
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