Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

mercoledì 13 aprile 2016

Creatività della tenerezza ed arte del perdono: conferenza




Papa Francesco parla sempre di tenerezza e anche in questi giorni ha ricordato che è la grazia che entra nell'uomo e lo trasforma. E' finita l'era dell'etica del dovere, è iniziata quella della felicità, della tenerezza, del gioco, dell'abbandono! Quante volte abbiamo paura della tenerezza!:


Carlo Rocchetta, nel suo libro Abbracciami, scrive: "L'affetto si comunica nella misura in cui s'incarna; esso non s'insegna, si trasmette vivendolo. Dal piccolo che afferra la mano dell'adulto di fornte ad un pericolo, fino al morente che viene accarezzato, dal conoscente che esprime il saluto con una calorosa stretta di mano agli innamorati che si tengono abbracciati, il contatto dei cuori e dei corpi esprime sempre il bisogno di relazionalità. E più intenso è l'affetto, più forte è il desiderio di un contatto vissuto, fin quasi a voler imprimere nell'altro/a la propria immagine".
  • L'abbraccio ha anche una forza terapeutica che «si fonda sul coinvolgimento della corporeità in quanto espressione dell'io-spirituale («Io sono il mio corpo») e sul ruolo di mediazione che il contatto corporeo svolge nell'incontro tra chi abbraccia e chi è abbracciato. In questo scambio, tutti i sensi di percezione sono coinvolti (vista, udito, olfatto, gusto), ma è specialmente il tatto che entra in gioco; un senso, quest'ultimo, indispensabile per la stessa sopravvivenza degli esseri umani. Si può vivere, sia pure in forma ridotta e limitata, senza vedere, udire, odorare, gustare, ma non si può vivere se si è privi del sistema tattile che, non a caso, è il primo a svilupparsi nel neonato. Solo grazie a esso, il bambino percepisce i primi stimoli, si riconosce e si sente riconosciuto, introiettando nelle aree profonde del cervello le prime informazioni e rielaborandole man mano che cresce e si socializza.
  • Il contatto corporeo non solo è piacevole, ma indispensabile, a livello sia emotivo che relazionale. Le diverse ricerche scientifiche dimostrano come questo tipo di contatto possa farci sentire meglio con noi stessi e nel rapporto col nostro ambiente, e come operi un effetto positivo sullo sviluppo del linguaggio e sul quoziente intellettivo, trasformandosi in motivo di mutamenti psicologici in colui che è toccato e, indirettamente, in colui che tocca. L'abbraccio riesce, infatti, a contenere la totalità dell'altro nel rispetto della sua storia, dei suoi vissuti e delle sue stesse rigidità muscolari.
  • L'abbraccio appartiene al linguaggio delle carezze. Ora, è proprio delle carezze di sfiorare, non di possedere o dominare:
  • La carezza consiste nel non impadronirsi di niente, nel sollecitare ciò che sfugge continuamente dalla sua forma verso un avvenire - mai abbastanza avvenire - nel sollecitare ciò che si sottrae come se non fosse ancora. Essa cerca, fruga. Non è un'intenzionalità di sviamento, ma di ricerca. Cammino nell'invisibile. Esprime l'amore, ma soffre per un'incapacità di dirlo. Ha fame di questa espressione stessa, in un continuo incremento di fame. Va dunque al di là del suo termine: è tesa al di là di se stessa, come se bussasse alla porta dell'essere.
  • Il linguaggio della carezza è un linguaggio sobrio, discreto; la sua espressione più eloquente è il silenzio. La carezza tocca senza prendere, avvicina senza dominare, trasmette una tenerezza che va oltre ogni attesa, pianifica senza invadere, trasmette amore nel rispetto e venerazione verso l'altro; esprime un ideale di amicizia che non si può raccontare che con la musica.
  • Gli abbracci sono carezze in atto. Ogni forma di abbraccio sincero manifesta un linguaggio di questo genere. «Vi sono abbracci che volano oltre i confini del tempo e vanno a ricucire strappi affettivi, abbandoni o tradimenti, per poi planare nella più profonda pace e riconciliazione, come fiocchi di neve che scendono dolcemente nel tormentato paesaggio interiore, dipingendo di delicatezza, di magia e di nuova poesia, le tele del cuore». (pp. 41-43)
  • La tenerezza di cui abbiamo parlato sopra, tuttavia, non si riesce a vivere se non si sa perdonare ed essere misericordiosi.

Perdono

Quando soffriamo ingiustizie, umiliazioni o qualche genere di tortura, nessuno ci può fare tanto male come coloro che dovrebbero amarci. Come reagiamo davanti ad un male che ci viene fatto con una certa intenzionalità?



La cosa migliore è apprendere l'arte del perdono (Aprender a perdonar), come scrive Jutta Burgraf. Tuttavia, questa arte non ci richiede di non voler vedere questo danno, atteggiamento pericoloso perché provoca una specie di cecità verso i valori. L'indiganzione e perfino la rabbia sono reazioni normali e perfino necessarie in certe situazioni.

Ogni dolore negato permane per lungo tempo e può essere la causa di ferite durature, quindi affrontarlo in modo adeguato è la chiave per conseguire la pace interiore.

L'atto di perdonare è un atto libero, non una reazione o un automatismo. Max Scheler afferma che una persona risentita si intossica da sola. I ricordi amari possono riaccendere la collera, la tristezza e portare alla depressione.

Le ferite non curate possono ridurre enormente la nostra libertà. Ma Sant'Ildegarda di Bingen ci insegna che "le ferite possono trasformarsi in perle".

Aiuta anche il "purificare la memoria", è infatti una legge di natura che il tempo cura alcune piaghe.

Il perdono comincia quando, grazie ad una forza nuova, una persona rifiuta ogni tipo di vendetta. E il segreto è di non identificare l'aggressore con le sue opere. Ogni essere umano è più grande delle sue colpe.  


Quali sono gli atteggiamenti che ci dispongono al perdono?


1 - L'amore, perchè perdonare è amare intensamente. Una persona può vivere e svilupparsi sanamente, quando si sente accettata come è, quando qualcuno la ama veramente e le dice: "è bene che tu esista".

2 - Comprensione. Va compreso che ciascuno ha bisogno di più amore di quello che "merita", ognuno è più vulnerabile di quello che sembra; e tutti siamo deboli e possiamo stancarci. Perdonare significa credere nella possibiltà di trasformazione ed evoluzione degli altri.

3 - Generosità. Perdonare esige un cuore misericordioso e generoso e non richiede il pentimento dell'altro.

4 - Umiltà. Noi non solo dobbiamo perdonare, ma dobbiamo anche chiedere perdono. Infuriarsi per colpa di un’altro può condurci con grande facilità a dimenticarci della colpa propria. Dobbiamo perdonare come peccatori, non come giusti, perché il perdono è più per compatire che per concedere. Tutti abbiamo bisogno del perdono, perché tutti facciamo del male agli altri, anche se talvolta non ce ne rendiamo conto.

Così come Dio ama noi, allo stesso modo vogliamo noi amare gli altri. Secondo la parabola del buon samaritano, il nostro prossimo non solo è colui che soffre, ma anche l’estraneo, colui che appartiene ad un altro gruppo sociale, ad un’altra professione, ad un altro partito politico, ad un’altra cultura, nazione o religione. Non dobbiamo etichettare o classificare nessuno. La carità non ha limiti.

Misericordia


Don Andrea Mardegan in Annunciare la misericordia di Dio come cuore pulsante del Vangelo, scrive che la Misericordia di Dio “non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono.” (MV, 6)

Comprendere in modo nuovo che “siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: « Non tramonti il sole sopra la vostra ira » (Ef 4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo.” (MV, 9)

Riascoltare l’invito di Gesù a non giudicare e a non condannare, a vincere sentimenti di gelosia e di invidia, a non parlar male del fratello, a “saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto.” (MV, 14)

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