“Voi
siete puri”
Per poter comparire davanti a Dio, entrare in
comunione con Dio, l’uomo deve essere «puro». Ma quanto più entra nella luce,
tanto più si sente sporco e bisognoso di purificazione. Per questo le religioni
hanno creato sistemi di «purificazione» con lo scopo di dare all’uomo la
possibilità dell’accesso a Dio. Nelle norme cultuali di tutte le religioni i
precetti di purificazione hanno un ruolo importante: danno all’uomo un’idea
della santità di Dio come anche della propria oscurità, da cui deve essere
liberato per potersi avvicinare a Dio.
Nel giudaismo osservante dei tempi di Gesù, il
sistema delle purificazioni cultuali dominava tutta la vita. Nel capitolo 7 del
Vangelo di Marco incontriamo la fondamentale presa di posizione di Gesù di
fronte a questo concetto di purezza cultuale realizzata mediante adempimenti
rituali; Paolo, nelle sue Lettere, ha dovuto ripetutamente affrontare tale
questione circa la «purezza» davanti a Dio. In Marco vediamo la svolta radicale
che Gesù ha dato al concetto di purezza davanti a Dio: non sono azioni rituali
che purificano. Purezza ed impurità si realizzano nel cuore dell’uomo e
dipendono dalla condizione del suo cuore (cfr Mc 7,14-23).
Ma sorge subito la domanda: come diventa puro il
cuore? Chi sono gli uomini dal cuore puro, che possono vedere Dio (cfr Mt 5,8)?
L’esegesi liberale ha detto che Gesù avrebbe
sostituito la concezione rituale della purità con quella morale: al posto del
culto e del suo mondo subentrerebbe la morale. Allora il cristianesimo sarebbe
essenzialmente una morale, una specie di «riarmo» etico. Ma con ciò non si
rende giustizia alla novità del Nuovo Testamento.
(…) La fede purifica il cuore. Essa deriva dal
volgersi di Dio verso l’uomo. Non è semplicemente una decisione autonoma degli
uomini. La fede nasce, perché le persone vengono toccate interiormente dallo
Spirito di Dio, che apre il loro cuore e lo purifica.
Giovanni ha ripreso ed approfondito questo grande
tema della purificazione, accennato solo brevemente nel discorso di Pietro, nel
racconto della lavanda dei piedi e, sotto la parola-chiave di «santificazione»,
nella Preghiera sacerdotale di Gesù. «Voi siete già puri, per la parola che vi
ho annunziato», dice Gesù, nel discorso sulla vite, ai suoi discepoli (15, 3).
È la sua parola che penetra in loro, trasforma il loro pensiero e la loro
volontà, il loro «cuore» e lo apre in modo che diventi un cuore che vede.
(…) capaci di Dio: è questo che Gesù ci fa qui
capire. In essa l’uomo deve essere immerso, affinché sia liberato dallo sporco
che lo separa da Dio. Al riguardo, non dobbiamo dimenticare che Giovanni non
prende in considerazione un concetto astratto di verità; egli sa che Gesù è la
verità in persona. (…) Il lavacro che ci purifica è l’amore di Gesù – l’amore
che si spinge fino alla morte. La parola di Gesù non è soltanto parola, ma è
Lui stesso. E la sua parola è la verità ed è l’amore.
(…) S’impone nuovamente il confronto con le
filosofie platoniche della tarda antichità, che girano – come ancora, per
esempio, in Plotino – intorno al tema della purificazione. Questa purificazione
si raggiunge, da una parte, mediante i riti, dall’altra e soprattutto, mediante
la graduale ascesa dell’uomo verso le altezze di Dio. In tal modo l’uomo si purifica
dalla componente materiale, diventa spirito e quindi puro.
Nella fede cristiana, invece, è proprio il Dio
incarnato che ci purifica veramente ed attira il creato nell’unità con Dio. La
devozione dell’Ottocento ha poi di nuovo reso unilaterale il concetto di
purezza, l’ha ridotto sempre di più alla questione dell’ordine nell’ambito
sessuale, inquinandolo così anche nuovamente col sospetto nei confronti della
sfera materiale, del corpo. Nella diffusa aspirazione dell’umanità alla
purezza, il Vangelo di Giovanni – Gesù stesso – ci indica la via: Egli, che è
Dio e insieme Uomo, ci rende capaci di Dio. Lo stare nel suo corpo, l’essere
penetrati dalla sua presenza è la cosa essenziale.
(…) «Voi siete puri» – in questa parola
meravigliosamente semplice di Gesù è espressa, in modo quasi riassuntivo, la
sublimità del mistero di Cristo. Il Dio che discende verso di noi ci rende
puri. La purezza è un dono.
(…) Questa dinamica essenziale del dono, per la
quale Egli stesso ora opera in noi e il nostro operare diventa una cosa sola
con il suo, appare in modo particolarmente chiaro nella parola di Gesù: «Chi
crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più
grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).
Ciò che conta è l’inserimento del nostro io nel
suo («non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»: Gal 2, 20). Per questo
la seconda parola-chiave, che ricorre spesso nell’interpretazione di Agostino
del discorso della montagna, è la parola «misericordia». Dobbiamo lasciarci
immergere nella misericordia del Signore; allora anche il nostro «cuore»
troverà la via giusta. Il «comandamento nuovo» non è semplicemente un’esigenza
nuova e superiore: esso è legato alla novità di Gesù Cristo – al crescente
essere immersi in Lui.
Proseguendo su questa linea, Tommaso d’Aquino
poteva dire: «La nuova Legge è la grazia dello Spirito Santo» (Summa theol.
I-II q 106 a 1) – non una norma nuova, ma l’interiorità nuova donata dallo
stesso Spirito di Dio.
Da J. Ratzinger/ Benedetto XVI, Gesù di Nazareth,
vol.2, pp. 69-78.
Se ti interessa un documento che fa un escursus
storico dove dalla Cristologia, attraverso la Teologia della Liberazione si
arriva agli dei, alla New Age:
Ratzinger J.
– Relativismo- Tg liberazione e New Age Eccone alcuni
brani:
Il New
Age
Il relativismo di Hick, Knitter e teorie analoghe si fonda in ultima analisi su un razionalismo che, alla maniera di Kant, ritiene che la ragione non possa conoscere ciò che è metafisico (10); la rifondazione della religione segue una strada pragmatica che assume una tonalità più etica o più politica. Vi è però anche una reazione espressamente antirazionalista all’esperienza che «tutto è relativo», e che si riassume nell’etichetta polivalente del New Age (11). Qui la via di uscita dal dilemma della relatività non viene individuata in un nuovo incontro di un Io con un Tu o con il Noi, ma nel superamento del soggetto, nel ritorno estatico nel processo cosmico.
Come già la gnosi antica, questa via ritiene di
essere in sintonia con tutto ciò che la scienza insegna e pretende inoltre di
valorizzare le conoscenze scientifiche di ogni genere (biologia, psicologia,
sociologia, fisica). Nello stesso tempo però, partendo da queste premesse,
intende offrire un modello del tutto antirazionalista di religione, una moderna
«mistica»: l’assoluto non lo si può credere, ma sperimentare. Dio non è una
persona che sta di fronte al mondo, ma l’energia spirituale che pervade il
Tutto. Religione significa l’inserimento del mio Io nella totalità cosmica, il
superamento di ogni divisione.
«Il soggetto, che pretendeva sottomettere a sè
ogni cosa, si trasfonde ora nel “Tutto”» (12). La ragione oggettivante -così ci
avverte il New Age- ci sbarra la via che conduce al mistero della realtà;
l’essere Io ci esclude dalla pienezza della realtà cosmica, sconvolge l’armonia
del Tutto ed è la causa autentica del nostro irredentismo.
La redenzione consiste nello svincolamento dell’Io, nell’immergersi nella pienezza della vita, nel ritorno nel Tutto.
La redenzione consiste nello svincolamento dell’Io, nell’immergersi nella pienezza della vita, nel ritorno nel Tutto.
Se la «sobria ebbrezza del mistero cristiano non
ci può rendere ubriachi di Dio, bisogna allora evocare l’ebbrezza reale delle
estasi efficaci, la cui passione ci eccita e ci rende dèi almeno per un attimo,
ci fa sentire per un momento il gusto dell’infinito e ci fa dimenticare la
miseria del finito. Quanto più si rende manifesta l’inutilità degli assolutismi
politici tanto più diventa forte l’attrattiva dell’irrazionalità, la rinuncia
alla realtà del quotidiano».
Il New Age giunge a dire: abbandoniamo
l’avventura del cristianesimo, che è fallito, e torniamo invece agli dèi,
perché lì si vive meglio. Ma sorgono allora diversi problemi. Accenniamo solo a
quello più pratico: come mai la teologia classica si è mostrata così
impreparata di fronte a questi eventi? Dove si trovano i punti deboli che
l’hanno resa così inefficace?
Hick ci assicura che Kant avrebbe dimostrato
inconfutabilmente che l’assoluto, o Colui che è l’assoluto, non può essere
conosciuto nella storia e come tale non può trovarsi in essa.
Penso che il problema dell’esegesi e quello dei
limiti e delle possibilità della nostra ragione, ossia delle premesse
filosofiche della fede, costituiscano effettivamente il vero punto dolente
dell’odierna teologia, per il quale la fede – e in misura crescente anche la
fede dei semplici – entra in crisi.
Infine, con la rivelazione divina Egli, il
Vivente e il Vero, irrompe in questo mondo e apre il carcere delle nostre
teorie, con le cui sbarre tentiamo di difenderci contro questa venuta di Dio
nella nostra vita.
(…) Se rimane chiusa la porta della conoscenza
metafisica, se restano invalicabili i confini posti da Kant alla conoscenza
umana, la fede è destinata ad atrofizzarsi: le manca il respiro.
La ragione umana infatti non è per nulla
autonoma. Essa vive sempre in particolari contesti storici.
Ma Barth sbagliava nel definire perciò stesso la
fede come un semplice paradosso, che può sussistere solo contro la ragione e in
totale indipendenza da essa. Una delle funzioni della fede, e non tra le più
irrilevanti, è quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di
non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla nuovamente a
se stessa. Lo strumento storico della fede può liberare nuovamente la ragione
come tale, in modo che quest’ultima – messa sulla buona strada dalla fede –
possa vedere da sè. Dobbiamo sforzarci di ottenere un simile dialogo nuovo tra
fede e filosofia perché esse hanno bisogno l’una dell’altra. La ragione non si
risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana.
Come mai la fede ha ancora una sua possibilità di
successo?
Direi perché essa trova corrispondenza nella
natura dell’uomo. L’uomo infatti possiede una dimensione più ampia di quanto
Kant e le varie filosofie postkantiane gli abbiano attribuito. Kant stesso con
i suoi postulati lo ha dovuto ammettere in qualche modo.
Nell’uomo vi è un inestinguibile desiderio di infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate è sufficiente; solo il Dio che si è reso finito, per infrangere la nostra finitezza e condurla nella dimensione della sua infinità, è in grado di venire incontro alle esigenze del nostro essere. Il nostro compito è quello di servire a lui con animo umile, con tutta la forza del nostro cuore.
Nell’uomo vi è un inestinguibile desiderio di infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate è sufficiente; solo il Dio che si è reso finito, per infrangere la nostra finitezza e condurla nella dimensione della sua infinità, è in grado di venire incontro alle esigenze del nostro essere. Il nostro compito è quello di servire a lui con animo umile, con tutta la forza del nostro cuore.
Il New Age di Massimo Introvigne
Come abbiamo cercato di spiegare negli altri
interventi, il periodo di transizione che l’umanità sta attraversando è
caratterizzato da una sorta di crisi della modernità in cui molti osservatori
hanno scorto anche un grande risveglio religioso su scala mondiale. Dal punto
di vista cattolico questo rinato interesse per la religione è insieme, come si
suol dire, una buona notizia e una cattiva notizia. È una buona notizia perché
dimostra – come spiegava magistralmente il fenomenologo delle religioni rumeno
Mircea Eliade – che il senso religioso è una categoria insopprimibile della
coscienza umana, e questo nonostante secoli di propaganda a-religiosa, quando
non anti-religiosa. È però anche una cattiva notizia perché il senso religioso
riemerge in forme ambigue, inaspettate, deboli, spesso incapaci di incidere
sulle società e sulle culture, e per la maggior parte in forme di religiosità
individualistiche non strutturate, proprio come avviene nel fenomeno del New
Age (…).
La particolare insidia del fenomeno del New Age
per la sua caratteristica di punta aggressiva della nuova religiosità
contemporanea è stata segnalata da Giovanni Paolo II in un discorso ai vescovi
americani del 28 maggio 1993; e nella nota L’impegno pastorale della Chiesa di
fronte ai nuovi movimenti religiosi e alle sette (n. 38) il Segretariato
per l’ecumenismo e il dialogo della C.E.I. ha segnalato il New Age come un
fenomeno nei confronti del quale va prestata una particolare attenzione per le
sue caratteristiche di realtà che appare quasi inafferrabile e quindi atta a
infiltrarsi anche negli ambienti cattolici.
A differenza di altre realtà della mappa della
nuova religiosità – che hanno una genealogia, capi, indirizzi, sedi e dottrine
riconosciute da tutti i membri –, il New Age si caratterizza per la sua
fluidità, la sua sfuggevolezza. La definizione di questo “ambiente”, di questo
“stile di vita” – che, come dice il nome, attende una “Nuova Era” – è
particolarmente importante; eppure molti specialisti si sono lasciati
intimorire dal “divieto di fare domande”, anche se, a partire dal 1990, la
riflessione scientifica ha cominciato a produrre una serie di risultati
apprezzabili dai quali non è assente lo stesso magistero cattolico che ha
avviato una valutazione globale del fenomeno a partire dalla lettera pastorale
Cristo o l’Acquario del cardinale Godfried Danneels, fino al 2010 arcivescovo
di Bruxelles. Proveremo anche noi a fornire una definizione che serva a
comprendere di fronte a quale sfida si trovi chi si occupa del New Age; lo
faremo proponendo quattro generi di descrizione.
Descrizione dottrinale. La visione del mondo del
New Age – quella, precisamente, in cui l’individuo accetta di passare da un
network all’altro, occupandosi globalmente di spiritualità, terapie e politiche
alternative –, pur frammentata nei mille rivoli che costituiscono le varie aree
di interesse, manifesta anche sul piano dottrinale una serie di elementi comuni
che possono essere delineati a grandi linee:
1) la premessa necessaria è che non esistono
verità assolute; si tratta di una forma di relativismo caratterizzato però dal
volontarismo: ciascuno può cioè, letteralmente, creare il proprio mondo, fino
al punto che il New Age teorizza la tecnica della “visualizzazione creativa”
mediante la quale si può costringere la realtà ad adeguarsi alla propria “visualizzazione”;
2) un secondo elemento è il punto di vista
secondo il quale tutte le religioni sono espressioni degli stessi miti e
archetipi, con la conclusione pratica di un elogio del sincretismo;
3) alla visione del Dio personale, della
dimensione creaturale dell’uomo e della figura storica di Gesù Cristo il New
Age sostituisce un Dio panteista, l’affermazione secondo cui “Noi siamo Dio” e
la distinzione – tipica del pensiero gnostico – fra Gesù Di Nazareth e “il
Cristo” che è presente in ogni essere.
Abbiamo iniziato questo intervento ricordando
come il contemporaneo risveglio religioso – di cui spesso i nuovi movimenti
sono l’espressione più significativa – sia per il mondo cattolico insieme una
buona e una cattiva notizia. Ha detto a questo proposito il cardinale Danneels:
“Attendevamo un uomo totalmente secolarizzato ed è venuto invece un uomo
religioso, ma religioso in forme impreviste e sorprendenti”. In questo senso il
New Age è un icona particolarmente efficace che ci suggerisce di cogliere
immediatamente la sfida.
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